L’Oxford Dictionary ha eletto “Rage Bait” parola dell’anno 2025. Scopri il significato, gli esempi più comuni sui social e perché la nostra indignazione è diventata un business
Se hai aperto i social oggi e hai sentito l’impulso irrefrenabile di lasciare un commento indignato sotto un video assurdo, sei probabilmente vittima del Rage Bait.
Non è un caso che l’Oxford Dictionary l’abbia appena eletta parola dell’anno 2025. Secondo i dati ufficiali dell’Oxford University Press, l’uso di questo termine è cresciuto del 300% negli ultimi 12 mesi, battendo altri finalisti come biohack e Aura Farming.
Ma cos’è il Rage Bait? E perché sta distruggendo la nostra esperienza online?
Letteralmente traducibile come “esca per la rabbia”, il termine indica una tattica precisa. L’Oxford Dictionary lo definisce come:
“Contenuto online deliberatamente progettato per suscitare rabbia o indignazione […] tipicamente pubblicato per aumentare il traffico o il coinvolgimento.”
A differenza del vecchio clickbait, che faceva leva sulla curiosità con titoli misteriosi, il Rage Bait fa leva su un’emozione molto più potente e immediata: la rabbia. Con il clickbait, vieni addescato per un clic, mentre con il Rage Bait sei mosso da un’interazione emotiva.
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La scelta dell’Oxford Dictionary è sociologica, non solo linguistica. Casper Grathwohl, Presidente di Oxford Languages, ha sottolineato un collegamento inquietante con la parola dell’anno scorso, Brain Rot, il cosiddetto marciume cerebrale.
Se il Brain Rot descriveva lo stato di esaurimento mentale causato dal consumo passivo di contenuti spazzatura, il Rage Bait è il carburante che alimenta questo processo. Viviamo in un’economia dell’attenzione dove gli algoritmi dei social premiano il tempo di permanenza e il numero di commenti.
E nulla fa commentare le persone più dell’indignazione.
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Probabilmente ti è capitato proprio oggi senza che potessi accorgertene. Tra i format più diffusi, c’è il “Dummy” Bait, ossia video DIY o tutorial dove il protagonista compie errori banali e ovvi (es. tagliare un frutto nel modo sbagliato, usare un attrezzo al contrario). Il nostro cervello non resiste alla tentazione di correggere gli altri. Commentando “Ma cosa fai? Si fa così!”, stiamo però regalando viralità al video.
Un altro caso è quello del Food Crime, ossia video di ricette disgustose, spreco di cibo eccessivo o preparazione di piatti tradizionali deliberatamente rovinati. Pensiamo alla carbonara con la panna… tocca l’identità culturale! L’indignazione è garantita, specialmente in Paesi con una forte cultura gastronomica come l’Italia.
Ma perché non riusciamo a scorrere oltre? La colpa è del negativity bias: il cervello umano è evolutivamente programmato per dare priorità agli stimoli negativi rispetto a quelli positivi. Il Rage Bait riesce ad hackerare questo sistema. Infatti, quando vediamo un’ingiustizia o un’assurdità, l’amigdala si attiva (risposta emotiva) e il cervello cerca di ripristinare l’ordine morale, tramite il commento o il giudizio. A questo punto, l’algoritmo registra l’azione come “interesse” e ci mostra ancora più contenuti di quel tipo.
Inoltre, l’avvento dell’AI Generativa ha peggiorato la situazione: oggi è possibile creare video falsi o testi provocatori in pochi secondi, inondando i feed a costo zero.
Il riconoscimento è il primo passo per la “disintossicazione” e per non alimentare la macchina dell’odio.
Io stessa ne sono stata vittima diverse volte. Ma cosa si può fare se si è di fronte a un contenuto del genere?
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Non commentare (mai). Senza dubbio, tra le armi più potenti c’è il silenzio. Nessun commento, nessuna interazione, nemmeno per insultare.
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Verificare la fonte. Chi sta parlando? È un esperto o una pagina sensazionalistica? Impariamo a distinguere le fonti autorevoli da quelle che non lo sono, perché queste ultime non meritano mai il nostro tempo.
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Usare il tasto “Non mi interessa”. Quando ci viene mostrato il contenuto di una pagina che non seguiamo, molto spesso è il social stesso che ci chiede se il contenuto è o meno di nostro interesse. E allora, impariamo ad addestrare il nostro algoritmo personale. Indigniamoci per la tipologia di contenuti che ci vengono proposti, per la qualità scadente. Non per il finto messaggio che vogliono far passare.
Sembrano consigli facili, invece non lo sono affatto. Dobbiamo capire che il Rage Bait è un modello di puro business, che lucra sulle nostre emozioni, ma soprattutto che peggiora il nostro stato di salute mentale.
L’unico modo per farlo fallire è smettere di “abboccare”.






