Per le sue playlist “fatte apposta per noi”, la piattaforma di streaming on demand si avvale di un algoritmo di Machine Learning. Ma la selezione non si basa solo su quello che già ci piace…
Gli oltre 180 milioni di utenti premium di Spotify, una delle più famose piattaforme di streaming on demand, lo sanno bene: il Discover Weekly e il Daily Mix, ossia i mix di tracce selezionate “appositamente per noi” dall’app, rappresentano un vero terno al lotto.
Alle volte sembrano leggerci nel pensiero, proponendoci canzoni perfettamente in linea con il nostro mood e i nostri gusti, in altri casi ci propinano delle ‘aberrazioni’ degne dei nostri peggiori incubi. Roba che fa pensare: ma davvero Spotify crede possa piacermi questa robaccia? Cos’è andato storto nella mia vita? Cosa sono diventato?
Be’, come spesso accade quando si tratta di New Tech, la risposta non si basa sul mero caso, ma su qualcosa di ben più prevedibile e accurato come… un algoritmo di Machine Learning.
Per creare il proprio sistema di raccomandazione – chiamato BaRT (Bandits for Recommendations as Treatments) – Spotify attinge, infatti, a un meccanismo content-based che analizza e rielabora i dati di brani precedentemente ascoltati. Come? Estrapolando informazioni che contemplano una serie di parametri come lingua, genere musicale, atmosfera, lyrics, energia, danceability, tempo di ascolto e così via.
A questo, si unisce però – ed è qui la vera innovazione della piattaforma – il cosiddetto Collaborative Filtering, ossia un filtro che seleziona il comportamento e le preferenze di utenti con gusti simili ai nostri.
Quindi, se (più di) qualcuno che Spotify reputa simile a me ha ascoltato in rapida successione gli Slayer e i BTS, avrò più probabilità di ascoltare un mix che includa entrambi gli artisti.
In fondo, nell’epoca dell’iper-connessione, bisogna mantenere la mente sempre aperta, no?
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