Donne nella Scienza dà voce a sei protagoniste del mondo scientifico cui non è ancora mai stata intitolata una via
Sofja Kovalevskaja, Anna Maria Ciccone, Cornelia Fabri, Margherita Beloch Piazzolla, Isabel Morgan, Katherine Johnson… vi dicono qualcosa questi nomi?
Probabilmente no, ma la colpa non è vostra che, anzi, state leggendo questo articolo e alla fine saprete qualcosa in più sulla vita di queste scienziate.
Il nome più noto è forse quello della Johnson, grazie al film del 2016 “Il diritto di contare” e, prima ancora, al libro di Margot Lee Shetterly, che racconta la storia vera della matematica e fisica afroamericana, collaboratrice della NASA per 33 anni, che sfidò razzismo e maschilismo (e calcolò, tra le altre cose, le traiettorie per il Programma Mercury e la missione Apollo 11).
Ma procediamo con ordine. Prima tappa del percorso urbano “Donne nella Scienza”: largo Sofja Kovalevskaja, in quello che oggi si chiama largo Giuseppe Veratti, scienziato a sua volta (vi invito a leggere del suo sodalizio professionale con la moglie Laura Bassi, prima donna a ottenere una cattedra universitaria in Filosofia naturale nel 1732). L’occasione è una delle visite guidate “Anima Urbis” previste da Open MA®T, nell’ambito del progetto ‘nDonnamo, nella fattispecie quella condotta da alcuni membri delle associazioni formaScienza e Global Shapers Rome Hub.
Sofja Kovalevskaja
La matematica Sofja Kovalevskaja nasce a Mosca nel 1850. Suo padre, generale di artiglieria, discendeva dal re d’Ungheria Mattia Corvin; il nonno e bisnonno materni, invece, erano astronomi e geodeti, membri dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo. Sofja, istruita in casa, dimostra un particolare interesse per la matematica già da bambina: la sua stanza è tappezzata dalle pagine di un libro di analisi che non capisce ma, racconta lei stessa, ammira “come una scienza misteriosa ed esaltante che le avrebbe aperto le porte di un mondo meraviglioso, inaccessibile ai comuni mortali”.
A quell’epoca in Russia le donne non erano ammesse agli studi universitari mentre in alcuni paesi d’Europa i movimenti femministi erano riusciti a ottenere l’accesso alle università a macchia di leopardo, non in tutte le città e non in tutte le facoltà. Sofja vorrebbe partire ma in Russia le donne non sono libere di espatriare senza il permesso del padre o del marito, e suo padre è contrario. Per poter partire, a 18 anni contrae un matrimonio di convenienza con il paleontologo Vladimir Kovalevskj, conosciuto negli ambienti dei giovani nichilisti.
Inizia così a viaggiare, frequentando i centri europei culturalmente e politicamente più vivi dell’epoca: ad Heidelberg studia con i grandi matematici Helmholtz, Kirchhoff, Bunsen; frequenta gli ambienti progressisti di Parigi prendendo parte alla Comune; si reca a Berlino, dal famoso matematico Weierstrass e chiede di avere lezioni private. Weierstrass, impressionato dal suo talento, sostiene la sua candidatura per ottenere il dottorato di ricerca presso l’Università di Gottinga nel 1874: le vengono richieste tre tesi. Presenterà tre studi: sulla forma degli anelli di Saturno, sulle funzioni ellittiche, e sull’esistenza e unicità delle soluzioni di un’equazione differenziale alle derivate parziali, oggi noto come teorema di Cauchy-Kovalevskij. I risultati sono talmente rilevanti, ed eleganti, che si ritiene superfluo farle sostenere un esame orale.
Dopo questi successi ritorna in Russia, dove prova a trasformare il contratto con il marito in una vera unione, dando alla luce la sua unica figlia. Tuttavia, dopo circa cinque anni, la vita da moglie le sta stretta e, non trovando nel marito il sostegno desiderato, se ne allontana e torna alla matematica, determinata a farne una professione. Non è facile trovare posto nelle università per una donna, a cui di solito vengono riservati i posti di assistente. Per di più, Sofja ha lasciato il marito e questo è ritenuto sconveniente. Tuttavia, il matematico Mittag-Leffer, suo estimatore e amico, riesce a superare le resistenze e a ottenere che l’Università di Stoccolma le conferisca una cattedra, nel 1884. È la prima donna fuori dai confini dell’Italia a ottenere tale incarico. Diventa membro del comitato di redazione della rivista “Acta Mathematica”. Nel 1888 vince il prestigiosissimo premio Bordin dell’Accademia Francese delle Scienze per aver risolto un problema difficilissimo, conosciuto come “la sirena delle matematiche”, perché con esso si erano scontrati matematici del rango di Eulero, Lagrange e Poisson: il problema della rotazione di un corpo rigido attorno a un punto fisso. A Parigi, viene celebrata nelle cerimonie ufficiali, ma non viene invitata nei ricevimenti privati: le mogli dei matematici ritengono compromettente invitarla a casa anche perché Sofja non fa mistero di avere un amante. Nonostante l’indiscussa consacrazione che il premio comporta, incontrerà ancora resistenze nel vedersi rinnovare la cattedra. Alla carriera matematica accompagna la scrittura, pubblicando romanzi di successo. Nel 1891, durante il suo ultimo viaggio contrarrà una polmonite che le sarà letale.
Fonti:
- Cinzia Belmonte e Irene Cannata (formaScienza);
- Angelo Guerraggio e Pietro Nastasi, “Sofja Kovalevskaja”, Centro Pristem, Università Bocconi, 2012;
- Koblitz, Ann Hibner, “A convergence of lives. Sofja Kovalevskaja: scientist, writer, revolutionary”, New Brunswick (New Jersey), Rutgers University Press, 1993.
La seconda tappa del percorso “Donne nella Scienza” co-intesta, per ora simbolicamente, via Giuseppe Veratti ad Anna Maria Ciccone (1891-1965).
Anna Maria Ciccone
La “fisica della luce che fermò i nazisti” nasce a Noto. Nel 1919 si laurea in Matematica e successivamente, nel 1924, in Fisica all’Università di Pisa. Nel 1931 diviene Aiuto dell’Istituto di Fisica dell’Università di Pisa dove conduce ricerche nel campo della spettroscopia.
La spettroscopia era nata nel XVIII secolo per analizzare le radiazioni emesse dal Sole, ma il suo studio è stato poi esteso a tutte le radiazioni elettromagnetiche e si è rivelata, nel corso del tempo, uno strumento fondamentale per chiarire grandi problemi della fisica, dall’elettrodinamica alla meccanica quantistica.
Sempre nel 1931 Anna Maria Ciccone comincia un periodo di ricerca di circa quattro anni nell’Istituto di Fisica della Scuola di Ingegneria di Darmstadt, in Germania, collaborando alle ricerche di spettroscopia del Prof. Gerhard Herzberg, scienziato antinazista e futuro Premio Nobel per la Chimica nel 1971. Gli studi della Ciccone sulla struttura della materia e sulla spettroscopia infrarossa contribuiscono all’avanzamento delle ricerche nel campo delle vibrazioni molecolari, fondamentali in meccanica quantistica.
La sua attività è interamente concentrata sugli studi scientifici, tanto che, tornata in Italia, trasferisce la sua residenza all’interno dell’Istituto di Fisica dell’Università di Pisa. Non solo grande scienziata, ma anche donna coraggiosa: nel 1944 si oppone alla razzia di libri e strumenti scientifici e alla distruzione dell’Istituto di Fisica da parte dei nazisti. Tra giugno e luglio del 1944, infatti, l’Istituto di Fisica subisce per ben tre volte le incursioni dei nazisti alla ricerca di documenti e apparecchiature industriali potenzialmente utili all’esercito per vincere la guerra. Alla terza incursione, Ciccone incontra gli ufficiali tedeschi e il faccia a faccia culmina con la sua frase: “O ve ne andate o fate saltare in aria anche me”. Davanti a tanto coraggio, gli ufficiali fanno dietro-front.
In una lettera indirizzata al Ministro della Pubblica Istruzione dal rettore Luigi Russo del 7 giugno 1946 si legge: “Non posso fare a meno di segnalare la benemerenza acquisita dalla Prof. Ciccone, durante il periodo dell’assedio tedesco per ciò che concerne la tutela del materiale scientifico, in quanto essa fu sempre presente e vigile nel suo Istituto, anche quando allontanarsene, avrebbe significato porsi in salvo dal pericolo“.
Fonti:
- Mariannina Ciccone, la Prof. di Fisica che fermò i nazisti;
- Accadde oggi: nel 1965 muore Maria Anna Corradina Ciccone.
Alla matematica Cornelia Fabri l’installazione dedica simbolicamente via Vito Volterra, matematico e fisico, nonché suo professore universitario.
Cornelia Fabri
Alla fine dell‘800, con la seconda rivoluzione industriale, il mondo della Ricerca e quello dell’Industria iniziano ad avvicinarsi. Nello stesso periodo nascono in Europa i primi movimenti femministi che, insieme al diritto di voto e a un lavoro ugualmente retribuito, reclamano il diritto all’istruzione e allo studio universitari.
Con tempi diversi nei diversi paesi europei, le porte degli atenei iniziano ad aprirsi anche per le donne: a Zurigo sono ammesse alle lezioni nel 1840, ma possono immatricolarsi dal 1867; in Svezia dal 1873; in Italia dal 1876.
Cornelia Fabri nasce nel 1869 in una famiglia che incoraggia i suoi interessi scientifici tanto da iscriverla all’Istituto tecnico di Ravenna, la sua città, unica ragazza in una scuola frequentata unicamente da maschi. Fabri si iscrive poi alla facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali dell’Università di Pisa, frequenta la prestigiosa Scuola Normale e si laurea nel 1891, sotto la guida di Vito Volterra. È la seconda laureata in Matematica in Italia (la prima è Iginia Massarini, nel 1887, a Napoli). Sarà a Pisa che Fabri continuerà il suo lavoro di Ricerca, proseguendo gli studi avviati dal suo maestro in tema di analisi delle funzioni di linea ed equazioni integro-differenziali.
La presenza delle donne nelle università è agli albori e non priva di ostacoli, ma molti nomi di donne si registrano in questo periodo nelle grandi Scuole di Matematica italiane, quella di Torino, sotto la guida di Giuseppe Peano, e quella di Pisa, sotto la guida di Vito Volterra, nella cui biblioteca si sono trovati ben 135 lavori firmati da scienziate, di cui 94 italiane, tra cui, appunto Cornelia Fabri.
In seguito, quest’ultima dà suoi contributi alla scienza applicata, occupandosi di Idraulica, sviluppando in particolare la teoria dei vortici, e sarà incaricata di studi ingegneristici per interventi di modifica sulle chiuse del fiume Montone.
Pubblica il suo ultimo lavoro nel 1895. Quando Volterra lascia Pisa per Torino, Fabri si ritrova isolata e interrompe precocemente la carriera scientifica per ritirarsi a Ravenna, dove si dedica alla gestione dei beni di famiglia, alla religione e all’assistenzialismo sociale.
Cornelia Fabri muore a soli 46 anni, nel 1915. Nel necrologio, Volterra scrive che “fu la prima a dimostrare fiducia in quelle idee e alla loro importanza per il progresso della Scienza”, e che “possedeva una padronanza dell’analisi e una virtuosità del calcolo che solo pochi possono raggiungere”. Altrettanto commoventi sono le lettere scritte, fin dal 1890, da Volterra al padre della ragazza, Ruggero Fabri: “[…] sono tutti i professori che debbono essere grati alla Sua egregia figliola di aver studiato con tanta assiduità e con tanto profitto in modo da raggiungere dei risultati veramente splendidi e che non possono tornare che a decoro della scuola che ha il piacere di averla come allieva. Io poi in special modo debbo essere grato alla Signorina di essersi occupata del soggetto dei miei studi e di essere riuscita a generalizzare e a estendere con felice sicurezza i risultati che avevo trovato. È troppo grande la soddisfazione che si prova quando si riesce ad avere degli allievi che fanno una buona riuscita, perché le cure avute, che del resto è uno stretto dovere il compiere, non siano più che compensate”.
Fonti:
- Cinzia Belmonte e Irene Cannata (formaScienza);
- Quaderni di Storia della Fisica n. 18, “L’altra metà del cielo nella Scienza italiana dal Settecento al Novecento. Ricerche e studi recenti”, C. S. Roero, E. Luciano, Dipartimento di Matematica G. Peano, Università di Torino, Torino, 2013;
- Dizionario “Scienza a due voci. Le donne nella Scienza italiana dal Settecento al Novecento” – Cornelia Fabri;
- Giovanni Mesini, “In memoria di Cornelia Fabri”, Arti Grafiche, Ravenna, 1925.
Quarta tappa: Margherita Beloch Piazzolla, cui “Donne nella Scienza” dedica la via attualmente instestata a Filippo Eredia, geofisico, meteorologo e accademico.
Margherita Beloch Piazzolla
Influente matematica, Margherita Beloch Piazzolla introduce e diffonde in Italia i metodi della Röntgenfotogrammetria, un procedimento che utilizza le immagini radiografiche di un oggetto per ricavarne posizione, forma e dimensione. Se applicato alla Medicina, questo metodo permette uno studio diretto dell’organismo vivente e, nello specifico, di ottenere una ricostruzione spaziale tridimensionale degli organi interni, anche in relazione alle varie posizioni che può assumere il corpo umano.
Questi studi possono essere interpretati come i precursori della TAC.
Beloch Piazzolla divide la sua vita accademica tra l’Università di Roma La Sapienza, dove si laurea nel 1908, e le Università di Pavia, Palermo e Ferrara. La sua tesi di laurea riguarda le trasformazioni birazionali nello spazio e viene pubblicata negli “Annali di Matematica pura e applicata”.
Durante il corso di studi a Roma, diventa allieva di Guido Castelnuovo, tra i fondatori della Scuola italiana di Geometria algebrica, che ha il merito di riconoscere il talento della sua allieva e di nominarla assistente di Geometria descrittiva presso l’Università di Pavia nel 1919. L’anno seguente Beloch Piazzolla si trasferisce a Palermo, dove collabora con il matematico Michele De Franchis, appassionato di Geometria algebrica. Nel 1924 consegue la libera docenza e vince il concorso alla cattedra di Geometria bandito nel 1927 presso l’Università di Ferrara. Per molti anni tiene, per incarico, anche gli insegnamenti di Geometria descrittiva, Geometria superiore, Matematiche complementari e Matematiche superiori.
Collocata a riposo nel 1954, non interrompe le sue ricerche e il conferimento del titolo di “Professore emerito” nel 1955 le permette di continuare a essere parte attiva della vita dell’ateneo. Si occupa di vari argomenti e raccoglie la sua produzione scientifica in un volume, uscito nel 1967 per la Società italiana di fotogrammetria e topografia, dal titolo “Opere scelte”. È nominata componente del consiglio direttivo della Società italiana di fotogrammetria Ignazio Porro e dell’Accademia delle Scienze di Ferrara. Proprio nelle Opere scelte dà una sua definizione di fotogrammetria: “È l’insieme delle teorie geometriche e analitiche e delle operazioni ottico-meccaniche e grafiche per mezzo delle quali si può riprodurre, in una data scala, un oggetto di cui sono state prese due o più fotografie”.
Beloch Piazzolla possiede una notevole fantasia matematica e nel corso della sua carriera si dedica anche all’analisi delle classificazioni delle superfici e dei sistemi di curve che vi appartengono. Il teorema, che accresce notevolmente la sua reputazione, illustra che “le superfici iperellittiche di rango 2 sono pienamente caratterizzate dal possesso di sedici curve razionali”. Si dedica, inoltre, allo studio delle curve algebriche sghembe ottenendo anche in quest’ambito risultati significativi, al punto che, nel 1940, l’accademico francese Charles Émile Picard presenta ai Comptes rendus de l’Académie des Sciences un suo articolo dal titolo “Sur le nombre des plurisécantes et sur la classification des courbes gauches algébriques”.
Già nel 1933 aveva presentato la nota all’Accademia dei Lincei; “Sulla risoluzione di un problema di aereo-fotogrammetria”. Concepisce e costruisce un apparecchio aereo-fotogrammetrico il cui scopo è quello di determinare “l’altezza di volo e il punto di stazione di un aereo in volo al momento della presa di una fotografia dall’interno del velivolo”. La difficoltà di registrazione delle misure su organi in movimento, come accade ad esempio per il cuore, la spinge a ideare un apposito apparato strumentale, il “precisometro”, che permette di realizzare lo scatto simultaneo di due radiogrammi. Il dispositivo è in grado sia di impedire che le radiazioni destinate a una delle lastre sensibili colpiscano l’altra sia di risalire automaticamente dalle immagini radiologiche alle misure delle distanze di punti dell’oggetto fotografato, senza necessità di altri calcoli.
Nel 1938 il precisometro è premiato alla Mostra delle invenzioni Leonardo da Vinci con la coppa d’argento del Ministero dell’Educazione nazionale. Margherita Beloch Piazzolla si spegne a Roma nel 1976.
Fonti:
- Cinzia Belmonte e Irene Cannata (formaScienza);
- Enciclopedia delle donne – Margherita Beloch Piazzolla;
- Dizionario “Scienza a due voci. Le donne nella Scienza italiana dal Settecento al Novecento” – Margherita Beloch Piazzolla;
A Isabel Morgan (1911-1996) è stato simbolicamente dedicato quello che attualmente è il giardino Alber Bruce Sabin (medico e virologo polacco naturalizzato statunitense che, proprio come Morgan, ha dato un grande contributo alla lotta alla poliomelite). A sua volta il giardino si trova all’interno di largo Enea Bortolotti, matematico e accademico.
Isabel Morgan
Isabel Morgan nasce a New Bedford, MA, Stati Uniti, nel 1911. I suoi genitori sono il genetista e premio Nobel per la Medicina (1933) Thomas Hunt Morgan e la biologa sperimentale Lilian Vaughan Sampson, che abbandona la carriera scientifica per accudire i figli, per poi ritornare alla Ricerca nel laboratorio del marito.
Morgan si laurea alla Stanford University nel 1936, ottiene in seguito un master dalla Cornell University e un dottorato in Batteriologia dalla University of Pennsylvania. Inizia, quindi, a lavorare al Rockefeller Institute for Medical Research a New York, presso il quale si dedica alla ricerca su malattie virali come la poliomielite e l’encefalomielite.
Nel 1944 arriva nel laboratorio di David Bodian e Howard A. Howe della Johns Hopkins University per continuare i suoi studi. In quegli anni la poliomielite ha raggiunto il picco di infezioni e costituisce una seria minaccia alla salute pubblica, soprattutto per le fasce più vulnerabili della popolazione come i bambini. Nel laboratorio, la sperimentazione viene condotta sulle scimmie vaccinate tramite virus inattivo: è proprio Isabel Morgan a definire il numero di anticorpi necessari nel sangue per proteggere le scimmie.
La tecnica della vaccinazione con virus inattivato era già stata utilizzata, inizialmente con successo, da Maurice Brodie; tuttavia, test successivi non avevano confermato i risultati ottenuti da Brodie e la teoria era stata prontamente screditata. In seguito agli esperimenti alla Johns Hopkins, Morgan pubblica, come unica autrice, un articolo in cui sostiene la vaccinazione con virus inattivato. È restia però a continuare la ricerca sulla polio estendendo la sperimentazione ai bambini, poiché i rischi associati alle tecniche di immunizzazione avevano portato ad alti tassi di encefalite autoimmune. Da allora, infatti, quelle tecniche non vengono più utilizzate.
Nel 1949 Morgan lascia la Johns Hopkins University per un piccolo laboratorio nella contea di Westchester, interrompendo di fatto le sue ricerche sulla poliomelite, pur pubblicando ancora qualche articolo. Il mondo della Ricerca, però, non si ferma: nel 1955 il ricercatore Jonas Salk presenta ufficialmente il vaccino con virus inattivato mentre Albert Bruce Sabin ne sviluppa uno con virus attenuato. I vaccini vengono usati per una massiccia campagna che porta alla riduzione drastica del numero di infezioni. Nonostante abbia abbandonato i suoi studi sui vaccini sul finire degli anni Quaranta, Isabel Morgan è l’unica donna a ottenere l’onore di comparire nel monumento scultoreo Polio Hall of Fame nel 1958, insieme agli altri scienziati che hanno concorso alla lotta contro la malattia.
I suoi contributi non sono limitati, in ogni caso, agli studi sulla poliomelite. Nel 1960 ottiene un master in Biostatistica dalla Columbia University e i suoi interessi si concentrano, per una decina di anni a seguire, sugli effetti dell’inquinamento dell’aria e sulle terapie per combattere i tumori.
Fonti
- OggiScienza. Storia di una scelta: Isabel Morgan e le ricerche sulla polio;
- The women who made modern vaccines work;
- American Experience – The polio crusade. Isabel Morgan;
- Our World in Data. “Polio” di Saloni Dattani, Fiona Spooner, Sophie Ochmann, Max Roser.
La sesta e ultima tappa del percorso urbano “Donne nella Scienza” è dedicata a Katherine Johnson, in una piazzetta a ridosso del mercato coperto del quartiere Ostiense-San Paolo ancora senza nome… Che sia la volta buona?
Katherine Johnson
Katherine Johnson nasce in una cittadina del West Virginia, Stati Uniti, nel 1918. Fin da piccola ha una forte passione per la matematica, ma le sue enormi capacità di calcolo si scontrano con il sistema scolastico statunitense e la segregazione degli studenti afroamericani. La famiglia, determinata a ottenere per tutti i figli una solida educazione, decide di trasferirsi per avere accesso a scuole superiori aperte alle ragazze afroamericane. Johnson ottiene il diploma di scuola superiore a 13 anni e a 18 consegue la laurea in Matematica summa cum laude presso il West Virginia State College, noto per essere storicamente associato all’educazione afroamericana.
Inizia, quindi, la carriera da insegnante, che sospende momentaneamente nel 1939 per diventare una delle prime ragazze nere integrate nella West Virginia University e proseguire la sua educazione con corsi avanzati di Matematica. Dopo un anno, però, abbandona gli studi per motivi familiari e riprende a insegnare nelle scuole superiori.
Nel 1953 viene assunta dal Langley Research Center come ricercatrice matematica per il National Advisory Committee for Aeronautics (NACA) che, cinque anni dopo, diventerà la National Aeronautics and Space Administration (NASA).
Sebbene le leggi federali impongano la non discriminazione razziale nei luoghi di lavoro, Johnson non ha vita facile: le impiegate sono definite “computer”, quando ancora i computer che conosciamo non esistevano. Le addette ai calcoli sono divise per colore della pelle e con richieste di ammissione diverse: le donne afroamericane devono non solo avere una laurea per ottenere l’incarico, ma anche aver conseguito voti alti, requisiti non richiesti a tutte le altre donne che desiderano fare domanda per questa posizione.
Johnson eccelle nel gruppo delle “computer afroamericane”, tanto da diventare la prima donna a ottenere che il suo nome appaia come co-autrice su una pubblicazione ufficiale della NASA (sarà poi co-autrice di altri 26 articoli scientifici).
Durante la sua carriera partecipa come matematica di riferimento a moltissime missioni spaziali, incluse quelle che hanno fatto la Storia. Come ricordavo in apertura, nel 1959 è proprio Johnson a calcolare la traiettoria di volo del primo astronauta americano nello spazio, Alan Shepard, e quella per la missione dell’allunaggio dell’Apollo 11.
Johnson lavora alla NASA fino alla pensione, nel 1986, e riceve moltissimi premi e riconoscimenti, inclusa la Presidential medal of Freedom, consegnatale dal Presidente Obama nel 2015.
Muore il 24 febbraio 2020 all’età di 101 anni. Nello stesso anno le viene conferita la National Geographic Society Hubbard Medal per Ricerca, scoperte ed esplorazione, lo stesso premio assegnato 51 anni prima agli astronauti che, grazie a lei, erano riusciti ad arrivare sulla luna.
Fonti:
- Ilaria Gianani (dipartimento Scienze dell’Università Roma Tre);
- Enciclopedia delle donne – Katherine Coleman Johnson;
- Space Center Houston. Women in STEM: Katherine Johnson;
- Women & the American History. Life Story: Katherine Johnson.
Il progetto n’Donnamo, finanziato nell’ambito del bando Social Value 2022 e promosso da EY Foundation, è stato realizzato da Global Shapers Rome Hub in collaborazione con il Municipio VIII di Roma per la condivisione dei contenuti, la concessione degli spazi e il coinvolgimento delle scuole del territorio, con formaScienza per l’elaborazione e la revisione scientifica delle biografie e la concessione del format, e con il supporto dell’associazione Toponomastica femminile, per la scelta delle scienziate e il corretto uso del linguaggio di genere, e dell’Università Roma Tre per l’elaborazione delle biografie.
Grazie alle targhe commemorative e ai QR code, l’installazione “Donne nella Scienza” resterà fruibile, fino all’8 marzo, anche in autonomia da chiunque voglia saperne di più sulla storia di queste sei scienziate e scoprire, al contempo, alcuni angoli del Municipio VIII meno conosciuti.
Leggi anche l’articolo sull’inaugurazione del progetto: Vie libere alle donne