Un incontro con il Premio Nobel Giorgio Parisi riaccende domande urgenti sul senso dell’intelligenza, sul valore dell’esperienza e sulla necessità di un CERN europeo per l’AI
Non mi capitava dai tempi dell’università di uscire da una lezione con quella sensazione addosso: la voglia di parlarne subito, quel senso di urgenza. È successo alle 19.00 di qualche sera fa, a Vicolo Valdina, nel cuore delle istituzioni italiane, durante il primo incontro del ciclo “Intelligenza artificiale tra speranze e criticità”, con il Premio Nobel Giorgio Parisi.
Il ciclo di seminari è promosso dal Comitato di Vigilanza sull’attività di documentazione della Camera dei deputati, presieduto dalla Vice Presidente della Camera, Anna Ascani. Nel suo intervento introduttivo, Ascani ha richiamato l’importanza di un percorso consapevole che ponga le persone al centro del dibattito, promuovendo “giustizia e rispetto dei diritti” nel governare questa rivoluzione.
C’è stato un momento, all’inizio della lezione di Parisi, in cui tutto si è fermato. Il Premio Nobel per la Fisica nel 2021 ha mostrato uno dei primi disegni di un neurone, tracciato con la precisione meravigliata di chi nell’Ottocento osservava il cervello umano come fosse un sistema stellare. E io, che ho studiato tutt’altro, mi sono sentita lo stesso pervasa da quel desiderio infantile e sconfinato di conoscere come siamo fatti… È in questi momenti che la Scienza per me diventa Arte. Una sensazione che ho provato anche quando seguivo le lezioni di Letteratura scientifica e leggevamo i meravigliosi testi di Galileo Galilei.
Perché la bellezza della conoscenza – ce lo dimentichiamo spesso – è universale. Tocca ogni ambito e ogni mestiere, indipendentemente da ciò che hai studiato o da quante equazioni sai risolvere. Ma torniamo all’intervento di Parisi.
Parisi ha smontato con semplicità disarmante l’equivoco alla base dell’entusiasmo cieco per l’intelligenza artificiale. I Large Language Model come ChatGPT e Gemini non “comprendono” il mondo: lo simulano. I loro algoritmi si muovono tra le parole, ma mancano di corpo, di peso, di posizione nello spazio. Mancano di esperienza.
“Questi modelli sono essenzialmente disincarnati e disomatizzati: non hanno un corpo. La loro conoscenza è puramente sintattica e semantica sulle relazioni tra le parole, non ontologica su come sono fatti gli oggetti e le relazioni nel mondo reale.”
Sono “disincarnati”, ha detto il fisico. E questa parola mi rimbomba dentro da giorni (sono una persona che si fissa terribilmente con le parole). Perché non è solo l’AI a non avere un corpo: siamo anche noi, spesso, a dimenticarci del nostro. Di cosa significhi apprendere con tutti i sensi. Di quanto conti la fatica, la memoria emotiva, l’ambiente, il tempo lento dell’intuizione, l’istruzione come processo di crescita dell’essere umano.
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I modelli linguistici hanno una memoria testuale. E sono fantastici in questo, lo sappiamo. Noi, invece, siamo fatti e viviamo di molteplici memorie! Perché non diamo loro valore? Memorie sensoriali, spaziali, affettive. Il nostro sapere non è solo semantico. Ci siamo abituati a pensare che “intelligenza” significhi solo calcolo efficiente, eppure noi umani sappiamo processare molte più “cose” di un’intelligenza artificiale.
Il vero pericolo, ha detto Giorgio Parisi, non è l’AI in sé, ma la monopolizzazione dell’informazione. Quando l’intelligenza artificiale diventa il filtro primario attraverso cui leggiamo il mondo (un mondo fatto da altri, con fonti scelte da altri) smettiamo di esercitare una responsabilità fondamentale: quella di discernere.
L’esempio dell’intelligenza artificiale di Elon Musk, che dichiara di utilizzare solo fonti “di destra”, è emblematico. L’ideologia non è più un’opinione tra le altre, ma diventa qualcosa di più strutturato, e il cittadino, se non è preparato, e se non ha gli strumenti per vederlo, smette di accorgersene.
“Se si arrivasse a un monopolio di fatto dell’intelligenza artificiale, sarebbe una situazione terribile perché saremmo altro che nel 1984!”
La citazione a un libro fa sempre sorridere una letterata come me. Sei lì, ascolti la lezione, si parla di Scienza, e tac! Ecco che arriva, splendida, una citazione a uno dei più bei libri di Fantascienza.
Solo a quel punto, Parisi ha proposto un CERN per l’intelligenza artificiale, europeo, pubblico, trasparente.
“C’è la necessità di avere una Ricerca pubblica nel campo dell’intelligenza artificiale e c’è la necessità di una regolamentazione. Le strutture pubbliche devono poter capire come funziona l’AI per poterla regolamentare ed è altrettanto importante creare conoscenze condivise. In Europa abbiamo bisogno di un CERN dell’intelligenza artificiale, come punto di incontro e di raccordo tra gli studiosi europei, e anche con l’Industria”.
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Una richiesta lucidissima, fatta da una delle più grandi menti dei nostri giorni. Una richiesta fatta non per rallentare l’Innovazione, ma per darle una direzione condivisa e democratica.
Ho lasciato la lezione pensando proprio a questo. Chissà se ci riusciremo.
Ma ciò che mi resta dopo aver ascoltato il Nobel Parisi non è la paura, è un’altra domanda ancora: cosa vogliamo che resti di noi, quando anche le nostre parole potranno essere imitate alla perfezione?
Forse la risposta è proprio nelle memorie: la carezza di una persona, la fatica di un fallimento, l’odore del mare. Il sapere umano è fatto di esperienze, di memorie diverse che convivono tra loro; nessun algoritmo può sostituirle, perché non può sentirle. E il problema non è che non lo faccia: è che noi potremmo dimenticarci di farlo.
Cercherò di ricordarmelo: ci vogliono disincarnati e scollati dal reale. E invece noi dobbiamo imparare a restare nel corpo.
Grazie, Professore.
NdA. Il prossimo appuntamento sarà il 25 giugno alle 19.00, con Eric Sadin. Il filosofo e specialista in tecnologie digitali e intelligenza artificiale parlerà di “IA generativa: un terremoto sociale, culturale e di civilizzazione alla sfida della legge”.
Nel frattempo, per voi che avete perso questa splendida lezione, ecco il link per rivederla.