Sulla vulnerabilità del silicio e della carne: la Cybersecurity nell’era di robot e cyborg

E se il corpo non fosse più rifugio, ma frontiera da difendere? Se i sensori che leggono il cuore potessero mentire? Parliamo di come l’essere umano aumentato e la casa intelligente condividano lo stesso destino: essere vulnerabili al codice maligno

 

 

Una volta il corpo era rifugio.

Un guscio imperfetto, sì, ma tutto nostro: da difendere contro la malattia, l’invasione del tempo, le violenze del mondo. Ora è qualcos’altro. È diventato infrastruttura. Terminale. Interfaccia.

Con un chip sotto pelle, un impianto cocleare nell’orecchio, un orologio che misura il battito come se fosse proprietà di qualcun altro. E se lo attaccano? Se il tuo cuore non è più tuo? Se un algoritmo decide che devi rallentare, che devi dormire, che devi parlare più piano?

Il corpo è sempre stato una questione politica. Lo è oggi più che mai, nel tempo del biohacking e delle intelligenze ambientali.

Perché il controllo passa attraverso la vulnerabilità. E allora non è solo il tuo braccio bionico a essere hackerabile: lo è la tua volontà. La tua intimità. La tua autonomia.

Allo stesso modo, anche le case – sempre più “smart” – non sono più rifugi, ma dispositivi connessi, orecchi che ascoltano, occhi che vedono, bocche che parlano con qualcun altro. Il frigorifero sa cosa mangi, la videocamera riconosce i volti, l’assistente vocale prende nota delle tue abitudini.

 

 

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Case intelligenti e corpi aumentati sono due facce della stessa medaglia: una visione del futuro dove ogni cosa è connessa, e dunque ogni cosa è vulnerabile. Si entra nella carne attraverso il cavo, si penetra la memoria attraverso un server. La sicurezza non è più solo una questione di firewall: è difesa dell’identità, della salute, della libertà.

La Fantascienza ci aveva promesso robot efficienti, precisi, al nostro servizio. Non ci aveva detto che anche loro, come ogni oggetto connesso, possono essere hackerati.

Nel 2020, uno studio ha scoperto gravi vulnerabilità nel ROS – Robot Operating System, il sistema usato da molti robot industriali (quelli più evoluti sono gli AMR – Autonomous Mobile Robots). Bastava poco per infiltrarsi e prendere il controllo di un robot: alterare i suoi movimenti, sabotare un’operazione, causare un guasto. 

Immagina un robot chirurgo, come il celebre Da Vinci, durante un intervento al cuore. Un hacker potrebbe modificare appena il comando di un braccio, deviare un’incisione di pochi millimetri: quanto basta per trasformare uno strumento di precisione in un’arma silenziosa.

Non è solo teoria. Gli ospedali sono da anni tra le infrastrutture più attaccate: ransomware, blocchi di sistema, furti di dati. Come ha da tempo evidenziato Nunzia Ciardi, vice direttore generale di ACN – Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, durante il convegno La minaccia cibernetica al settore sanitario. Ma ora il rischio si sposta dal software alla macchina fisica. Alla chirurgia robotica. Alla vita.

E se un attacco venisse usato come strumento di guerra invisibile? Un’operazione sabotata. Un leader mondiale sotto il bisturi. Un colpo di stato senza spargimento di sangue, ma con molto sangue versato.

 

 

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Veniamo ora alle case intelligenti. Alexa ascolta troppo. Il frigorifero diventa un punto d’accesso. Le pareti non proteggono più: osservano. Ogni comfort ha un costo nascosto: la vulnerabilità del perimetro domestico. Anche la robotica domestica e la Smart Home sono sotto costante minaccia: un attacco a un dispositivo può diventare un varco per l’intera rete. Una telecamera compromessa. Una serratura smart che si apre su comando di chi non dovrebbe. La casa, che da sempre rappresenta rifugio e protezione, diventa specchio del corpo aumentato: connessa, efficiente, ma esposta.

Una ricerca dell’Università di Catania, pubblicata sulla rivista scientifica Computers & Security, ha analizzato i prodotti per la domotica dell’azienda cinese TP-Link: dalle prese elettriche alle telecamere, fino ad arrivare alle strisce led e le lampadine. Sono state individuate quattro gravi vulnerabilità in alcuni prodotti, confermate da Mitre, sollevando un allarme esteso a tutti gli oggetti connessi. Stiamo trasformando le nostre abitazioni in mini-data center non protetti. 

In media, ci sono 21 dispositivi connessi per abitazione. Più dispositivi, più superficie d’attacco. E poi c’è l’anello debole: l’essere umano. Password deboli, link ingannevoli, disattenzioni quotidiane. La casa diventa una rete da proteggere come un’azienda: segmentare le connessioni, aggiornare i dispositivi, usare autenticazioni avanzate, monitorare anomalie. 

Nel sottobosco post-umano, ci sono poi i biohacker: pionieri che trasformano il corpo in laboratorio. Si impiantano chip RFID per aprire porte, magneti sottopelle per percepire campi, sensori connessi alla rete per leggere il proprio battito in tempo reale. 

Neil Harbisson ascolta i colori.

Lepht Anonym si impianta oltre 50 dispositivi, tra i quali strumenti da cucina. 

L’artista di Cyborg Art Moon Ribas sente le vibrazioni dei terremoti attraverso un sensore nel braccio. 

Questi corpi sono sistemi cibernetici vulnerabili. Se un chip è leggibile, è anche manomissibile. Se un’interfaccia è connessa, è anche attaccabile.

Già nel 2017, si dimostrò che era possibile modificare a distanza i segnali di un pacemaker. E, nel 2018, venne hackerato un impianto cocleare. Il corpo, sempre più connesso, diventa un’estensione dell’infrastruttura digitale. E come tale, è attaccabile. Poi ci sono le interfacce neurali. Neuralink e le Brain-Computer Interface aprono un varco tra il pensiero e il codice. Se il pensiero può essere intercettato, può essere violato e poi modificato. 

Corpi aumentati e case intelligenti alla fine non sono altro che due facce della stessa medaglia esistenziale. Due porte attraversate dal codice, dove l’una chiude e protegge, l’altra apre e potenzia. Ma entrambe si espongono.

Da un lato serve una nuova etica del codice, una bioetica digitale capace di immaginare diritti per la mente connessa, per l’identità aumentata. Perché i sistemi biometrici, che ci promettono sicurezza su misura, sono ancora deboli sotto l’urto della sofisticazione tecnologica. 

Dall’altro, serve una vera e propria pedagogia della vulnerabilità, perché nel mondo che verrà ogni casa sarà una rete. 

E, allora, la domanda che ci portiamo dietro è politica, esistenziale, profondamente umana: quando il corpo diventa sistema operativo, il chip diventa organo, quando la casa intelligente diventa vulnerabile… cosa resta della nostra libertà?

 

Leggi anche: La miniserie Netflix in cui l’AI si mescola con il mito di Cassandra

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