Gli utili da capogiro non sono bastati alle Big Company per evitare tagli al personale. Ma il fenomeno dura già da qualche anno e riguarda anche l’Italia
Tutto è cominciato con Microsoft che, nei primi mesi del 2025, ha licenziato 15mila dipendenti. A seguire Amazon, Meta e Google ne hanno seguito l’esempio. Gli analisti finanziari hanno calcolato che, nei primi sei mesi del 2025, sono stati persi circa 100mila posti di lavoro nel settore tecnologico.
Eppure, a guardare i bilanci, i profitti delle Big Tech sono ai loro massimi storici. Si veda appunto Microsoft, che ha guadagnato, solo nel primo trimestre del 2025, 70 miliardi di euro, con +13% di ricavi ottenuti rispetto all’anno precedente; oppure Amazon, che ha aumentato le sue vendite di circa il 10%. Vale anche per Meta, i cui utili netti hanno raggiunto i 18 miliardi di dollari, con un fatturato totale che si è attestato attorno ai 47,52 miliardi di dollari.
Utili da capogiro che non sono bastati alle Big Company per evitare i licenziamenti. Anzi. I calcoli fatti dalle riviste specializzate sembrano andare in tutt’altra direzione, negli Usa come in Europa. Anche in Italia, infatti, IBM ha annunciato di aver licenziato 85 dipendenti quest’anno, dopo averne già fatti fuori un migliaio negli ultimi 10 anni.
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Già, perchè il fenomeno dei licenziamenti di massa va avanti da un po’. Nel 2023, ad esempio, Mark Zuckerberg aveva coniato l’espressione “anno dell’efficienza” per giustificare la Spending Review che aveva mandato a casa 10mila impiegati di Meta.
Lo stesso anno, nella divisione gaming di Microsoft si erano verificate altre migliaia di licenziamenti. Il 2023, in generale, è stato l’anno in cui le Big Tech hanno effettuato maggiori tagli al personale. Quasi mezzo milione di persone in quel periodo fu costretto a fare gli scatoloni in cerca di un altro impiego. L’anno seguente altre 20mila persone persero il posto di lavoro. E, per l’anno in corso, i calcoli fatti dalla rivista Fortune parlano di quasi mille licenziamenti ogni giorno.
Efficientamento, trasformazione digitale, riorganizzazione… sono le parole chiave usate per giustificare i tagli al personale. Nella realtà si tratta, esclusivamente, di misure per ridurre i costi, mentre da più parti si fa riferimento al fatto che l’implementazione su larga scala di strumenti di intelligenza artificiale sta rimodellando le strutture aziendali, portando all’eliminazione di interi team e di diverse figure professionali. In verità, la crisi della forza lavoro è diventata una costante all’interno delle Big Tech, a prescindere dall’AI.
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Tuttavia, è vero anche che le multinazionali del digitale stanno assumendo nuove figure professionali proprio grazie alle nuove opportunità offerte dall’AI.
Da un lato, dunque, le Big Tech licenziano in massa, dall’altro stanno assumendo ingegneri, Prompt Designer, esperti in Machine Learning. Si pensi solo che al World Economic Forum, che si tiene ogni anno a Davos, hanno stimato che l’intelligenza artificiale nei prossimi anni eliminerà 85 milioni di posti di lavoro, ma ne creerà qualche milione in più.
La crisi della forza lavoro nelle grandi multinazionali, tuttavia, può rappresentare un’opportunità per gli Stati nazionali per attirare lavoratori formati all’interno delle Big Tech. È ciò che ha fatto negli ultimi anni, in parte, pur in maniera discutibile, il governo degli Stati Uniti.
Infatti, se queste imprese hanno voluto o dovuto fare a meno di lavoratori altamente qualificati, la Pubblica Amministrazione, i governi, gli Stati, non possono lasciarsi sfuggire l’occasione di attrarre talenti. Vanno in questa direzione le politiche adottate dalla Spagna, che ha introdotto un visto dedicato ai nomadi digitali. Non solo: tanti altri Paesi hanno fatto altrettanto, introducendo agevolazioni fiscali e facilitazioni burocratiche.
Gaetano De Monte
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