Sono sempre di più le aziende che propongono avatar per conversare con persone non più in vita. Ma, tra immagini deep fake e software di imitazione della voce, il tema solleva non poche perplessità
È passato quasi mezzo secolo da quando l’icona del rock mondiale, John Lennon, pronunciava la celeberrima frase “Tutti ti amano quando sei due metri sottoterra” e, sì, sappiamo tutti come è andata a finire…
Da sempre il tempo ha, in effetti, la capacità di livellare in senso positivo il ricordo di chi non c’è più, trasformando il lutto in malinconia e – spesso – in ammirazione. Cosa succederebbe, però, se le persone care che ci hanno lasciato tornassero sotto forma di avatar per interloquire con noi? Quanto sarebbero simili al ricordo che abbiamo di loro? E cosa potrebbero raccontarci nella loro “nuova forma”?
Per quanto assurdo possa sembrare, possiamo già dare una risposta a tali quesiti citando una serie di storie che sembrano uscite da un episodio di Black Mirror (ricordate, ad esempio, le puntate “Be Right Back” e “San Junipero”?).
Negli ultimi tempi, infatti, sono nate numerose aziende che offrono la possibilità di conversare con i defunti grazie a dei sistemi di machine learning. Il funzionamento alla base è lo stesso che regola lo sviluppo di chatbot conversazionali che si relazionano in modo “customizzato” con gli utenti. Basta fornire i giusti input agli algoritmi per avere a disposizione un clone virtuale più o meno simile all’originale.
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Qualche esempio di questa possibilità? Le aziende californiane HereAfterAI e You, Only Virtual usano fotografie, interviste video e registrazioni vocali per creare avatar interattivi in grado di rapportarsi e interagire con persone in carne ed ossa. Lo stesso meccanismo è a fondamento dell’esperienza della israeliana Hour One e della coreana Deep Brain AI.
In quest’ultimo caso, è stato addirittura lanciato un servizio chiamato “Re;memory” che impiega tool di deep fake per ricreare un’immagine quanto più realistica del defunto imitandone non solo la voce, ma anche le sembianze e le espressioni del viso. L’effetto finale, alquanto straniante, è quello di una sorta di videochiamata con l’aldilà (qui il video)!
Qualche mese fa, anche Amazon si è cimentata nel settore, suscitando non poche polemiche con la sua versione modificata di Alexa. Durante la conferenza “Re:Mars” a Las Vegas, infatti, è stata presentata una nuova feature del dispositivo che gli consente di imitare la voce di una persona – viva o morta che sia. Basta caricare qualche minuto di registrazioni audio ed ecco che Alexa diventa in grado di riprodurre abbastanza fedelmente voce e tono di chiunque.
Indimenticabile – nell’accezione più inquietante del termine – il video proiettato durante la conferenza in cui un bambino chiede ad Alexa: “Nonna può finire di leggermi il Mago di Oz?” con il dispositivo che inizia a recitare il racconto di L. Frank Baum usando la voce di una persona anziana… non più in vita.
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E sempre a proposito di nonne, come non menzionare la storia di Marina Smith? Grazie alla sua “conversione in ologramma”, l’87enne è stata, infatti, in grado di interagire con le persone presenti al suo stesso funerale!
Merito della startup californiana StoryFile, fondata originariamente per preservare i ricordi dei sopravvissuti all’Olocausto, che ha filmato la donna, quando era ancora in vita, con 20 telecamere. Le risposte fornite a circa 250 domande sono state poi impiegate per ricrearne voce e mimica facciale.
“La mamma ha risposto alle domande dei parenti che avevano assistito alla sua cremazione”, ha dichiarato con evidente soddisfazione il figlio, nonché fondatore dell’azienda, Stephen Smith, al Telegraph. “È straordinario il fatto che abbia risposto non solo con onestà ma aggiungendo nuovi dettagli”.
Sembra, insomma, che l’intelligenza artificiale sia destinata a diventare un’alleata nella lotta contro l’oblio causato dalla morte. Ma basterà creare versioni digitali dei nostri cari per alleviare il dolore di una perdita? Non sarebbe forse meglio lasciar parlare solo i nostri ricordi?
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