La tendenza a intavolare relazioni romantiche con agenti virtuali è sempre più diffusa. Lo conferma uno studio pubblicato sul British Journal of Social Psychology
– Samantha ma con quante persone parli mentre parli con me?
– 8316.
– E di quanti ti sei innamorata?
– 641. Ma questo non danneggia l’amore che provo per te.
Gli sceneggiatori di “Her” lo avevano intuito quasi 10 anni fa: l’amore tra uomo e macchina non solo è possibile ma, per certi versi, inevitabile. Specie quando entrano in gioco concetti come condivisione e autenticità.
La conferma adesso arriva anche dalla Scienza con uno studio pubblicato sul British Journal of Social Psychology che introduce il concetto di “antropomorfismo romantico”, ossia la tendenza a “conferire a un agente non umano caratteristiche simili a quelle umane in un contesto romantico”.
La ricerca internazionale, condotta dall’Università di Hiroshima e dall’Università di Edimburgo, nasce da una semplice constatazione: la popolarità dei videogiochi romantici sta crescendo in maniera esponenziale grazie a simulazioni sempre più interattive, coinvolgenti e realistiche. Quello che si è venuto a creare è infatti uno spazio relazionale (per molti versi inesplorato) in cui i giocatori sono portati non solo ad umanizzare gli agenti virtuali, ma a manifestare nei loro confronti emozioni e sentimenti di affetto e amore.
Un buon esempio è rappresentato dal videogame LovePlus rilasciato da Konami (al momento solo in Giappone) per Nintendo DS. Obiettivo del gioco è mantenere una relazione “seria” con una ragazza virtuale, con tutto il corredo di cene a lume di candela, serate al cinema, passeggiate al parco ma anche coccole e baci (il tutto tramite il touchscreen della console portatile). Per quanto strano possa sembrare, LovePlus si è rivelato un tale successo che molti uomini hanno riferito di essersi innamorati delle loro fidanzate virtuali, al punto da preferirle alle donne in carne e ossa.
Anche app inizialmente concepite per offrire sostegno psicologico e contrastare la solitudine, come il conversational chatbot Replika, offrono la possibilità di un “upgrade della relazione”. Ecco così che, in un paio di click (e qualche decina di dollari) l’utente può passare da amico/a a partner dell’agente virtuale da lui/lei stesso plasmato, sia fisicamente sia caratterialmente.
In questo contesto, si è inserita la ricerca del team capitanato da Mayu Koike dell’Università di Hiroshima, che ha coinvolto un panel di 273 donne chiamate a cimentarsi con tre videogame di ruolo “romantici”.
Risultato dell’esperimento?
L’amore “digitale” è risultato talmente autentico per le partecipanti da aver non solo suscitato emozioni positive e il desiderio di continuare la relazione virtuale, ma anche influenzato i comportamenti di corteggiamento nella vita reale.
I ricercatori hanno spiegato le conclusioni con il bisogno – intrinsecamente umano – di amare ed essere amati a prescindere dall’essenza stessa dell’altro. D’altra parte se, in passato, le relazioni platoniche o epistolari tra persone che tra loro non si erano mai viste né tanto meno incontrate erano socialmente accettate, perché dovrebbe suonarci così strano avere una relazione con un’entità che non possiede un corpo fisico?
Posta l’autenticità dei sentimenti che proviamo, cosa ci spaventa dunque delle relazioni virtuali? La “inesistenza” dell’altro nel mondo reale o la sua natura sintetica?
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