Dal Webinar Sant’Anna-ANSA su Pnrr: inclusione sociale sempre più distante
Nella serata del 5 ottobre si è svolto il webinar “PNRR: la politica di coesione alla prova dell’inclusione sociale”, organizzato dalla Scuola Superiore S. Anna di Pisa in collaborazione con ANSA. Il webinar digitale è stato promosso dall’Istituto Dirpolis (Diritto, Politica, Sviluppo) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, nell’ambito del progetto ANSA: Cohesion goes local, cofinanziato da REGIO della Commissione europea.
I temi dell’incontro ruotavano intorno all’inclusione sociale collegata al PNRR e alla sua effettiva realizzazione. Come verranno usati i fondi del Piano per porre rimedio alle differenziazioni regionali e di genere? Quali progetti verranno finanziati?
Nella serata, hanno partecipato al dibattito: David Natali, docente di Scienza politica della Scuola Superiore Sant’Anna, Francesca Biondi, docente di Diritto costituzionale della stessa Scuola, il presidente della Provincia di Lucca Luca Menesini e David Rinaldi, docente di Governance economica europea all’Université Libre de Bruxelles e direttore di Studi e politiche pubbliche alla Fondazione Feps. In chiusura è poi andata in scena una sessione di domande e risposte coordinata dal ricercatore della Scuola Superiore Sant’Anna Gianluca Piccolino.
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Dopo gli interventi e il dibattito, quello che rimane è una crescente consapevolezza che si poteva fare di più in tema di inclusione sociale con i fondi messi a disposizione dal PNRR.
Infatti, la docente Francesca Biondi, dopo aver studiato e analizzato i finanziamenti e la loro suddivisione applicativa ha posto l’accento sullo strappo presente tra riforme pensate da chi ci governa e i veri bisogno del nostro Paese:
“Il progetto delle Case di comunità cerca di porre rimedio a una problematica. La direzione è giusta, ma è molto importante anche come questi piani sulla carta verranno attuati nel concreto; affinché gli enti territoriali possano partecipare, infatti, non devono essere riforme calate dall’alto, ma partecipate.”
La comunità quanto è consapevole delle scelte che si stanno prendendo per il cosiddetto “loro bene”?
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Non bisogna dimenticarsi che l’Unione europea si è posta l’obiettivo della transizione digitale e climatica, e che, quando si viene a parlare di inclusione sociale e partecipazione, non vi è una vera e propria linea mandatoria da seguire, ma si tratta di linee guida, come ha rimarcato con apprensione il Prof. David Rinaldi:
“Gli obiettivi sociali sono più raccomandazioni specifiche per i diversi Paesi. La Commissione non ha dato direttive forti per l’inclusione e l’impatto del Piano sulle disuguaglianze di genere e regionali. La transizione digitale e climatica avrà impatti iniqui sulle regioni, in questo caso diventa responsabilità dello Stato. Effettivamente l’Italia non può esimersi dal pensare all’aspetto territoriale. A livello regionale da noi ci sono meno persone che possono fare controllo strategia. I bandi hanno un apporto di fondi a livello infrastrutturale, ma spesso non ci sono i fondi per la gestione. Sulla carta le strategie ci sono, ma non aver assunto personale per anni oggi crea problemi.”
Quindi, la realtà verso la quale ci si dirige è la seguente. Molti territori non si sono presentati ai bandi non perché non avessero necessità di infrastrutture, ma per mancanza di fondi per assumere personale qualificato. In questo modo, dato che i bandi sono nazionali, si rischia di osservare la crescita del divario tra le diverse regioni. Si corre nella direzione opposta.
Un esempio pratico: il bando nazionale per gli asili nido, come afferma il Presidente della Provincia di Lucca Luca Menesini:
“È sotto gli occhi di tutti noi che ci sono aree che non hanno presentato alcun progetto. Aree in cui i fondi erano superiori alle proposte per mancanza dei fondi di gestione. Aree metropolitane come la nostra, che hanno presentato anche tre nuovi progetti di asili nido e aree rurali, che necessitano di queste strutture e che rimarranno ancora più isolate. La gestione centralizzata dei bandi ha creato competitività, ma il rischio sviluppo a macchia di leopardo è più di un rischio.”
L’UE come reagirà di fronte a questa deriva?
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Non solo divario regionale. Secondo l’Osservatorio sul Recovery Plan, tutto il comparto del care, cioè l’aspetto più sociale del Piano, è manchevole. Infatti, continua così il Prof. Rinaldi:
“È chiaro che il maggiore spending va sulla transizione, ma non dobbiamo dimenticarci che la crisi viene in prima fase dalla crisi del care, tutto il comparto sanitario messo a dura prova dalla pandemia che, ad oggi, riceve pochissimo. Se si mettono insieme tutte le misure del PNRR, il 90% di queste non hanno niente a che vedere con uguaglianza, care e inclusività. Inoltre, non dimentichiamoci che anche gli altri settori più colpiti all’inizio, come turismo, formazione, ristorazione, sono quelli che ora stanno ricevendo meno. Proprio questi settori sono quelli nei quali la presenza maschile e femminile è più paritaria. I maggiori investimenti stanno andando ai settori delle infrastrutture e dell’energia, dove sono presenti più uomini. Uno dei risultati di uno studio che stiamo portando avanti analizza questi risvolti sociali del PNRR. Tutto quello che spendiamo sul tema clima avrà un problema: creare ulteriori disuguaglianze di genere. I green jobs favoriscono solo gli uomini.”
Ne consegue che l’applicazione del Piano allo stato attuale rischia di non portare a una “guarigione” dell’Italia, ma c’è il concreto rischio di ritrovarci in un Paese ancora più malato.
Il nuovo Governo dovrà rendersi presto conto che tutte le misure hanno ricadute dal punto di vista della coesione. Quello che si potrebbe portare a casa dall’esperienza della pandemia è un cambiamento del concetto di sviluppo.
A tutto questo si aggiunge una nuova preoccupazione: che impatto avrà la crisi energetica sull’attuazione del PNRR? Una domanda lasciata in sospeso dal webinar e che, se non analizzata, potrebbe portare a conseguenze drammatiche.