DISINFÒRMATI

Fact-Checking VS Community Notes: quale via per limitare la disinformazione?

È possibile immaginare un ecosistema informativo in cui Fact-Checking professionale e intelligenza collettiva collaborano? O, ancora, esiste una terza via?

 

 

L’espressione “Fake News” è diventata onnipresente nell’attuale sistema informativo. In questo episodio di Disinfòrmati, il nostro podcast sull’Infosfera realizzato in collaborazione con Sony Computer Science Laboratories – Rome, proveremo a capire cosa significa davvero e ci interrogheremo sull’efficacia dei modelli esistenti nella lotta alla disinformazione.

Come è noto, esistono due modelli principali: da una parte il Fact-Checking tradizionale, lento, certo, ma rigoroso, il quale richiede giornalisti specializzati, accesso alle fonti, metodologie trasparenti. Uno strumento che garantisce affidabilità, ma che non può tenere il passo con i miliardi di contenuti generati ogni giorno e che vengono amplificati dalle diverse piattaforme.

L’altro modello è quello delle cosiddette Community Notes, scalabile, pluralista, capace di attivare competenze diffuse, ma, allo stesso tempo, vulnerabile. Se la folla è “truccata”, infatti, se voci più organizzate prevaricano, il risultato finisce con il distorcersi.

Si è discusso molto all’inizio di quest’anno del confronto tra questi strumenti, soprattutto quando il fondatore di Meta, Mark Zuckerberg, ha annunciato che gli enti indipendenti che si occupavano di verificare i contenuti sui Social Network sarebbero stati rimpiazzati dalle Community Notes, modello simile a quello adottato da Elon Musk sulla sua piattaforma X, ma anche da Wikipedia.

 

 

Ascolta anche: Perché la nuova policy di Facebook non apre a scenari disastrosi

 

 

Da qui nasce, anche per noi, l’esigenza di comprendere se siamo di fronte a due modelli alternativi oppure complementari. Non soltanto.

Ci siamo chiesti se è possibile immaginare un ecosistema informativo in cui Fact-Checking professionale e intelligenza collettiva collaborano, ciascuno con i propri punti di forza, e se le piattaforme devono limitarsi a “ospitare” le voci della comunità o assumersi la responsabilità di garantire trasparenza, visibilità equa delle note e protezione dagli abusi. A nostro avviso sono domande cruciali, che toccano la natura stessa dello spazio pubblico digitale.

Per permetterci di orientarci in questo intreccio tra controllo professionale e dinamiche collettive, tra verifica e partecipazione, ci siamo confrontati con Emanuele Brugnoli, ricercatore nel team di Sony CSL – Rome che si occupa di Infosfera. A queste domande non corrispondono risposte semplici, ma Brugnoli ci ha consegnato una prima granitica certezza: al giornalista professionista non può più bastare produrre contenuti affidabili, bisogna fare in modo che emergano nel mare magnum di informazioni web e restino visibili abbastanza a lungo da guidare il dibattito pubblico in modo corretto.

Detta in altri termini: la lotta alla disinformazione non riguarda solo la veridicità dei contenuti, ma anche la capacità di inserirli nel flusso di attenzione collettiva, dove la velocità di diffusione e il contesto contano tanto quanto i fatti stessi. Per saperne di più, vi invitiamo all’ascolto di questo episodio!

 

Ascolta anche: L’autodifesa digitale è possibile. Il nostro vademecum anti-bolla

Ospite

Emanuele Brugnoli

Dopo aver conseguito un dottorato di Ricerca in Matematica e Informatica all’Università di Perugia, Emanuele Brugnoli ha lavorato come ricercatore prima presso l’Università di Palermo, poi all’Istituto dei Sistemi Complessi (ISC – CNR), presso l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) e, più di recente, presso il Centro di Ricerca Enrico Fermi (CREF). Attualmente è […]

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