Nonostante il nome, il settore delle Risorse Umane ha una connotazione sempre più “artificiale”. Dai recruiter virtuali alla valutazione automatica dei candidati, il futuro del recruiting passa sempre di più attraverso le soluzioni di AI
La prossima frontiera in ambito HR? Un agente virtuale come… recruiter. Si chiama Algho, appare come un avatar 3D dalle fattezze umane e consente di “colloquiare con l’utente nella modalità più umana ed empatica possibile”, percependo sensazioni come gioia, tristezza, paura, rabbia e sorpresa, oltre ovviamente al livello di attenzione (e forse all’interesse per il ruolo).
Come? Sfruttando tecnologie di riconoscimento verbale, elaborazione del linguaggio naturale, analisi semantica, visione artificiale e analisi delle emozioni.
Sviluppato dall’azienda italiana QuestIT, Algho promette di fare un primo lavoro di scrematura dei candidati abbattendo tempi e costi per la ricerca del personale senza rinunciare allo “human touch” necessario per la selezione dei profili.
Anzi, secondo i suoi sviluppatori, un avatar virtuale potrebbe generare meno disagio rispetto a un esaminatore in carne e ossa, dando modo ai candidati di essere più naturali e rinunciare a un’immagine troppo “costruita”. Un’opinione sicuramente originale considerando l’ansia aggiuntiva generata dall’avere di fronte un software ben poco incline – per algoritmo – ad accettare insicurezze ed eventuali defaillance…
Se l’idea dell’intelligenza artificiale applicata al recruiting vi sembra uno scenario ancora poco attuale, considerate che è già da diverso tempo che le aziende hanno iniziato a utilizzare soluzioni di AI in ambito HR. Ad esempio, l’intelligenza artificiale viene impiegata per estrapolare dati dai CV e popolare i CRM aziendali, oppure per compilare automaticamente web form e analizzare database e documenti alla ricerca di keywords.
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Di recente ha fatto scalpore la notizia che Amazon sta lavorando a un sistema di valutazione automatizzata dei candidati per determinare quali profili hanno il maggior potenziale di successo. L’obiettivo ultimo è selezionare più rapidamente e accuratamente possibile i candidati che, oltre a disporre delle caratteristiche richieste, risultano più “simili” agli impiegati Amazon che già svolgono le stesse mansioni.
Soluzioni simili sono adottate anche da piattaforme di recruiting come Beamery e HireVue che scandagliano Internet alla ricerca dei profili più in linea con le richieste delle aziende basandosi su parametri preimpostati.
La buona notizia è che l’AI non è, però, un’esclusiva dei datori di lavoro. Negli ultimi anni, infatti, si sono moltiplicate le piattaforme di talent recruiting che hanno invertito la prospettiva, segnalando ai candidati le offerte di lavoro e le organizzazioni più adatte alle loro skill ed esperienze. In Italia possiamo segnalare HR Coffee (ne avevamo parlato qui) che utilizza l’intelligenza artificiale per mappare le competenze e identificare possibili aree di crescita per impiegati e candidati.
A livello internazionale spicca poi la proposta di Phenom, startup con sede in Pennsylvania (USA) che mira a orientare le persone in cerca di lavoro verso i ruoli che più si adattano al loro background e alle loro competenze.
Insomma, sembra proprio che la tendenza all’automatizzazione dei processi di recruiting sia ormai inarrestabile, specie in un’epoca in cui si ragiona sempre di più in termini di Big Data. Il rischio concreto è che i software di intelligenza artificiale non siano però in grado di valutare adeguatamente la personalità, la passione e le esperienze dei candidati.
Senza considerare il giudizio che potrebbero dare di “intoppi” molto umani come congedi parentali, assenze per malattia o semplici “buchi” nel cv…