L’intelligenza artificiale nelle redazioni è un dibattito aperto

Dopo l’esperimento de “Il Foglio”, l’utilizzo dell’AI nelle redazioni giornalistiche è finito al centro dell’agenda setting

 

 

Nella prima metà di marzo scorso ha debuttato in Italia il primo quotidiano realizzato interamente con l’intelligenza artificiale: Il Foglio AI è stato disponibile per un mese in tutte le edicole, una versione short di quattro pagine che è stata venduta dal martedì al venerdì insieme alla copia tradizionale.

Oggi, quello che l’attuale direttore de Il Foglio, Claudio Cerasa, ha spiegato e giustificato nei termini di un esperimento, è terminato, per ora. Ed è tempo, dunque, di bilanci, nuove idee e prospettive. Come ha spiegato lo stesso Cerasa dalle colonne del quotidiano fondato da Giuliano Ferrara nel 1996, si è trattato del tentativo di “far coesistere due mondi apparentemente inconciliabili, come quello della carta, l’amata carta, e quello dell’inafferrabile universo delle macchine artificiali, dei chatbot, dell’AI, dell’intelligenza non naturale, ma incredibilmente non così artificiale“.

Indubbiamente, tra gli addetti ai lavori l’esperimento è considerato riuscito, dato che la redazione del quotidiano ha capito il senso del progetto, ad esempio, approvandolo, e considerando anche che molti tra i giornali più autorevoli di tutto il mondo hanno raccontato la portata di questa operazione.

Cerasa ha anche aggiunto: “Abbiamo imparato a capire come si fanno le domande a un’intelligenza artificiale, e quanto è importante un prompt; saper fare le domande giuste è un lavoro, saper offrire a chi scrive un articolo una chiara indicazione di stile, di tono, di obiettivo, di linea editoriale, è fondamentale, e più le indicazioni sono chiare, più l’intelligenza artificiale tende a essere precisa, puntuale, e persino creativa“.

 

 

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Tuttavia, il dibattito sull’utilizzo dell’AI nelle redazioni giornalistiche è ampio e frastagliato. C’è chi come il Presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, presentando a fine febbraio i dati di una ricerca condotta insieme all’università Lumsa, ha raccontato: “Nel nuovo Codice deontologico per i giornalisti abbiamo inserito delle chiare indicazioni sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale, che deve sempre essere trasparente, tracciata e sotto controllo umano“.

Questo significa – tradotto – che non bisogna utilizzare uno strumento come l’AI per abbattere i costi e tagliare il personale delle redazioni. Dall’Ordine dei giornalisti si dicono preoccupati, lamentando di aver avanzato proposte concrete sul tema agli editori, ma di aver ricevuto per il momento indisponibilità a un serio confronto.

No demonizzazione, ma nemmeno squilli di tromba“, infine, è la posizione cauta di Bartoli a nome dell’ordine professionale, il quale ritiene, però, che lintelligenza artificiale “può essere un utile strumento per semplificare nelle redazioni lavori e mansioni ripetitive, oppure analizzare e gestire grandi mole di dati”.

Invece, nelle redazioni e fuori da esse, comprendendo i freelance, che sono la maggior parte dei giornalisti, come si vive il rapporto con l’intelligenza artificiale?

 

 

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Sono ancora i dati della ricerca Lumsa a venirci in soccorso. Nel campione degli intervistati, un giornalista ogni cinque crede che la verifica delle fonti, attività fondamentale nella professione giornalistica, possa essere migliorata dagli strumenti di AI. Mentre, sempre dallo studio, tra gli stessi giornalisti emergono importanti timori legati agli effetti dell’utilizzo dell’intelligenza artificiasle nella professione. E ancora: la preoccupazione della metà degli intervistati è relativa alla produzione di contenuti di bassa qualità.

In generale, la maggioranza dei giornalisti, circa l’80%, concorda sulla necessità di regolamentare l’uso dell’AI e di segnalare quando viene impiegata. Allo stesso tempo è forte nei professionisti l’idea che il giornalismo debba mantenere il suo carattere investigativo e critico.

L’intelligenza artificiale è vista come un supporto, non come un sostituto della professione. E c’è pure chi la considera capace di migliorare la comunicazione tra colleghi, un dieci%, mentre un giornalista ogni tre teme che aumenti il divario generazionale tra gli stessi.

Dunque nelle redazioni il dibattito è aperto. Con una sola certezza, per ora. Che la provocazione-esperimento de Il Foglio ha dettato la loro prossima agenda e, di conseguenza, quella di vari decisori, pubblici e privati.

 Gaetano De Monte

 

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