La blockchain potrebbe mettere un freno alla deforestazione selvaggia

Ogni anno, a causa del disboscamento illegale, un’area di foresta pluviale grande quanto il Belgio sparisce dalle mappe. Un aiuto concreto per la tracciabilità e sostenibilità dei prodotti forestali potrebbe però arrivare dalla blockchain

 

 

Secondo il Global Forest Watch, ogni anno, un’area di foresta tropicale delle dimensioni del Belgio viene distrutta dal disboscamento illegale con immense perdite in termini di biodiversità e capacità di assorbimento di CO2.

Una piaga talmente diffusa, quella della deforestazione non regolamentata, da rappresentare il 30% del commercio globale di legname e prodotti forestali (dati ONU).

Nonostante iniziative come il Forest Law Enforcement, governance and trade (FLEGT) e l’EUTR (EU Timber Regulation) – in combinazione con certificazioni come il Forest Stewardship Council (FSC) e il Programme for the Endorsement of Forest Certification (PEFC) – stiano tentando di mettere un freno al fenomeno, dando una patente di legalità alle supply chain più controllate e trasparenti, molto resta da fare.

In questo senso, un aiuto concreto per tracciare l’origine dei prodotti forestali e verificarne ogni step nella catena di approvvigionamento e distribuzione potrebbe arrivare dalla blockchain.

 

 

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Questa, infatti, permette la creazione di un registro immutabile delle transazioni, a prova di manomissione, che garantirebbe la verifica di un insieme di informazioni sulla sostenibilità e tracciabilità dei prodotti (provenienza, qualità, grado di lavorazione, eccetera).

In secondo luogo, la tecnologia blockchain consentirebbe la stipula di Smart Contract per verificare automaticamente l’origine dei prodotti forestali in ogni fase della filiera.

In tal modo, ogni “anello” della catena di approvvigionamento – dai gestori delle aree forestali destinate al taglio passando per le aziende che si occupano della lavorazione del legname, fino ad arrivare ai distributori – sarà ritenuto responsabile della sostenibilità dei prodotti che gestisce.

Ciò si ricollega al terzo vantaggio della blockchain: la creazione di un database decentralizzato di informazioni sui prodotti forestali. Con il passare del tempo e delle transazioni, infatti, si andrebbe a immagazzinare un’enorme mole di dati sulle specie di legname commerciabili, la loro provenienza, i nomi delle aziende che operano nel settore, e così via.

Il tutto accessibile ad altri operatori del comparto, autorità di controllo, ONG e associazioni dei consumatori.

 

 

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Per le imprese più virtuose, ossia quelle che adottano gli standard di sostenibilità e trasparenza più elevati, si aprirebbe poi un sistema di token o altri incentivi da utilizzare all’interno di un mercato basato sulla blockchain.

C’è poi chi, come la piattaforma Green Future Project, propone un meccanismo, basato sulla blockchain di Solana, che permette ad aziende e cittadini di acquistare NFT della durata di 50 anni per preservare ettari di foresta pluviale. Il 90% della transazione registrata su blockchain per ogni NFT viene, infatti, devoluto ai proprietari delle aree interessate così da incentivarli a tutelarne la biodiversità.

Il tempo, però, stringe e i segnali che arrivano da alcuni dei Paesi che ospitano le più grandi riserve forestali del globo (Russia, Brasile, Canada, Stati Uniti d’America, Congo e Cina) non sono affatto incoraggianti.

Ad esempio, il lascito della presidenza Bolsonaro in Brasile è stato drammatico: si stima che, nel solo dicembre 2022, l’Amazzonia, la più vasta foresta pluviale al mondo, abbia perso qualcosa come 218,4 km² di vegetazione. Per avere un’idea, l’area metropolitana di Parigi si ferma a 105,4 km², quella di San Francisco a 121,4 km²…

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