Dallo studio Enea, emerge che “il lavoro agile permetta di evitare l’emissione di circa 600 kg di anidride carbonica all’anno per lavoratore”
E se la soluzione per tutti i nostri problemi: dal burnout alla crisi climatica, fino al Quiet Quitting, fosse lo Smart Working? Secondo un recente report di Enea, infatti, questa modalità lavorativa farebbe bene all’ambiente, grazie a un taglio consistente delle emissioni. Vediamo insieme i numeri.
Leggi Lavoro: i benefit più richiesti
L’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile ha pubblicato, sulla rivista internazionale Applied Sciences, uno studio sull’impatto dello Smart Working sull’ambiente. In questo report sono state prese a campione le città di Roma, Torino, Bologna e Trento, nel quadriennio dal 2015 al 2018. In particolare, la relazione ha interessato un campione di 3.397 persone di 29 amministrazioni pubbliche, sul territorio italiano, prima della pandemia.
Ascolta il nostro podcast: Cosa fare per combattere il Digital Divide?
Dallo studio Enea, emerge che
“il lavoro agile, per due giorni a settimana, per un totale di 100 giorni l’anno, permette di evitare l’emissione di circa 600 kg di anidride carbonica all’anno per lavoratore” (circa il 40% in meno). Ci sono anche notevoli risparmi in termini di tempo (circa 150 ore), di distanza percorsa (3.500 km) e carburante (260 litri di benzina o 237 di gasolio).”
Lo studio ha anche sottolineato “una riduzione di ossidi di azoto a persona al giorno (dai 14,8 gr di Trento ai 7,9 gr di Torino), monossido di carbonio (da 38,9 gr di Roma a 18,7 gr di Trento), PM10 (da 1,6 gr di Roma a 0,9 gr di Torino) e PM2,5 (da 1,1 gr di Roma e Trento a 0,6 gr di Torino”.
Numeri che le aziende private e pubbliche del nostro Paese dovrebbero tenere bene in considerazione anche a fronte delle nuove normative europee in materia di clima. Una novità che potrebbe abbinarsi con successo alla settimana lavorativa di 4 giorni.
Rimane il fatto che l’Italia, più di altri esempi esteri, è ancora legata a un’ottica presenzialista che fatica a tenere il passo con i tempi che cambiano. Secondo uno studio dell’Osservatorio Digital Innovation, infatti,
“i lavoratori da remoto oggi sono circa 3,6 milioni, quasi 500mila in meno rispetto al 2021, con un calo in particolare nella PA e nelle PMI, mentre si rileva una leggera ma costante crescita nelle grandi imprese che, con 1,84 milioni di lavoratori, contano circa metà degli Smart Worker complessivi.”
Leggi Un lavoro 100% da remoto: pro e contro
IL NODO TRASPORTI
Infine, il report Enea specifica che, nel nostro Paese, i trasporti sono responsabili
“di oltre il 25% delle emissioni totali nazionali di gas ed effetto serra. La maggior parte (il 93%) proviene dal trasporto su gomma, con una maggioranza di automobili. Secondo i dati raccolti, la città più critica sarebbe Roma, con un tempo di percorrenza medio, per andare a lavoro, di circa due ore, a causa delle maggiori distanze e del traffico intenso. Mentre la media nazionale registrata si attesta a un’ora e 20 minuti. Nella capitale, gli spostamenti per lavoro e studio sono circa 420mila e ogni persona trascorre nel traffico circa 82 ore all’anno. La metà del campione intervistato dichiara di viaggiare con mezzi privati a motore (47% in auto e 2% su ruote), il 17% viaggia sui mezzi pubblici e il 16% con un mix di trasporto tra pubblico e privato.”
Il costante, ma anacronistico, utilizzo di vetture private anche in contesti cittadini che dovrebbero premiare il trasporto pubblico non dovrebbe fare prendere consapevolezza? Le diverse amministrazioni territoriali pensano di agire in questa direzione?
Come è possibile che una città come Roma non abbia un piano a medio-lungo termine per supportare la transizione della mobilità urbana?
Ancora: nel 2030 le persone saranno costrette a essere ancora alla mercé di ritardi, cancellazioni e cattiva gestione delle risorse?
Ascolta il nostro podcast: Il futuro della Smart Mobility