Centro Studi Tagliacarne: “Il 30,7% delle aziende che investono in attività formative conta di superare livelli pre-Covid nel 2023”
Roma, 7 aprile 2023. La formazione, alla fine dei conti, ripaga e ripagherà. Questo è quanto emerge da un’indagine del Centro Studi Tagliacarne su un campione di 4mila imprese tra i 5 e i 499 addetti del settore manifatturiero e dei servizi. Investire nella formazione del personale conviene perché accelera la capacità di ripresa produttiva delle imprese e migliora l’efficacia degli investimenti nei settori green e digitale. Infatti,
“il 30,7 % delle aziende che stanno investendo in attività formative nel triennio 2022-2024 conta di superare già quest’anno i livelli produttivi pre-Covid, contro il 12,3% di quelle che non lo faranno. L’effetto ‘capitale umano’ risulta ancora più determinante per migliorare i risultati degli investimenti realizzati nella duplice transizione: il 46,5% delle aziende che stanno accompagnando gli investimenti in digitale e green con quelli formativi prevede di migliorare nel 2023 i risultati produttivi conseguiti nel 2019, contro il 21% di quelle che, pur avendo imboccato la strada della duplice transizione, non hanno pianificato alcuna attività di formazione. Ma nel triennio 2022-2024 è diminuita la quota delle imprese che puntano a formare le proprie risorse umane rispetto al triennio pre-Covid (75,2% contro il 78,6% del 2017-2019).”
Questi dati ci aiutano a comprendere meglio due questioni: la prima, è che la formazione è un vero e proprio investimento e non un peso da sobbarcarsi perché “bisogna fare così”; la seconda è che questo investimento frutta meglio se applicato in contesti che stanno già rivoluzionando la produzione in un’ottica innovativa e sostenibile.
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A conferma di questa proficua linea d’azione, ecco le parole del direttore generale del Centro Studi Tagliacarne, Gaetano Fausto Esposito.
“L’atteggiamento delle imprese sui temi della crescita del capitale umano si è molto evoluto. Fino a pochi anni fa le aziende, in particolare quelle più piccole, non consideravano questo un elemento centrale per lo sviluppo e la formazione era più che altro relegata ad aspetti connessi al funzionamento degli impianti. L’adozione delle tecnologie 4.0 e green ha invece fatto emergere la stretta complementarità tra crescita del capitale umano e politiche di investimento, in particolare per quanto riguarda le implicazioni di ordine organizzativo aziendale.”
Se le aziende italiane puntassero a 360° su questi tre pilastri, dove potrebbero arrivare? Guardiamo insieme altri numeri.
Sempre dall’indagine prodotta dal Centro Studi Tagliacarne risulta in maniera evidente quanto siano proprio le imprese giovanili quelle più pronte a formare il proprio capitale umano. Infatti,
“nel complesso, il 75,2% delle imprese realizzerà almeno un’attività di formazione tra il 2022 e il 2024. Una quota che sale al 79,3% nel caso delle imprese guidate da giovani. Mentre scende al 73% nel caso delle aziende femminili. Più sensibili sulla formazione, inoltre, appaiono le attività imprenditoriali del Mezzogiorno e del Nord-Est (entrambi al 77%) rispetto al resto del Paese.”
A fronte di questi numeri, forse si potrebbe fare un passaggio in più e riflettere sulle motivazioni che vedono un così netto distacco tra imprese giovanili e imprese femminili. Le motivazioni sono di carattere economico o culturale e sociale?
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Fino a ora abbiamo parlato di formazione in generale, ma andando più nello specifico, di che attività sta parlando l’indagine che prendiamo a riferimento? Quello che si evince marcatamente è che più di nove imprese su 10 puntano sull’up-skilling.
“Tra le diverse tipologie di investimenti formativi programmati dalle imprese entro il 2024 quelle più gettonate sono finalizzate a potenziare le competenze tecnico-professionali del personale, cosiddette up-skilling (96,9%). Seguono le attività di re-skilling, cioè di formazione su nuove competenze tecnico-operative (81%), di intrapreneurship per aumentare la responsabilizzazione e la capacità di iniziativa, di innovazioni di processo e di prodotto (58,2%) e di formazione manageriale per lo sviluppo di nuovi modelli di business (47,1%). E proprio quest’ultima tipologia formativa sembra avere un maggiore impatto sulle aspettative di crescita delle aziende: il 31,8% delle imprese che fanno formazione manageriale prevede di superare i livelli pre-Covid nel 2023, contro il 22,2% di chi non la sceglie.”
Si punta, quindi, a una specie di didattica per gestire il cambiamento di ruoli e la crescita interna. Resta da capire da qui al 2024 quante aziende seguiranno questo piano di crescita.
Chi vuole davvero rischiare di perdere il treno della ripresa?
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