Indagine sulla carne coltivata tra speranze, resistenze e allarmismi

Con i ritmi attuali e con l’aumento costante della popolazione umana, continuare sulla strada del consumo di carne significa andare incontro a una catastrofe annunciata. Un cambio di paradigma potrebbe arrivare dalla carne coltivata

 

 

Ogni anno, nel mondo, circa 80 miliardi di animali vengono macellati per soddisfare la domanda di carne. Non solo l’allevamento intensivo del bestiame è responsabile di una significativa porzione delle emissioni totali di gas serra, variabile tra il 10 e il 20%, ma alimenta problemi enormi come deforestazione, inquinamento dell’aria e dell’acqua, oltre a contribuire all’insorgere di malattie zoonotiche. Va da sé che, con i ritmi di consumo attuale, e con l’aumento costante della popolazione umana, continuare su questa strada significa andare incontro a una catastrofe annunciata.

 

L’evoluzione dell’Industria della carne

Eppure finora gli allarmi sono rimasti del tutto inascoltati. Negli ultimi decenni, l’Industria della carne ha assistito sì a una trasformazione radicale, ma nell’ottica di implementare processi puramente aziendali come efficienza e quantità prodotte. Con l’introduzione diffusa degli antibiotici e l’impiego di mangimi geneticamente modificati, gli animali sono stati allevati per crescere più rapidamente e fare più massa.

Basti pensare che oggi un pollo di otto settimane pesa circa quattro volte di più di un pari età allevato 60 anni fa. Anche grazie a questo inquietante efficientamento dei processi di crescita degli animali, dagli anni ’60 il mercato della carne è quadruplicato, arrivando a toccare il valore di un trilione di dollari. A vantaggio principalmente di poche grandi corporation di settore come JBS, Cargill e Tyson.

 

La carne coltivata: concepire la carne in modo differente

Un cambio di paradigma potrebbe arrivare, però, dalla tecnologia attraverso la carne coltivata.

Questa nuova forma di produzione alimentare avviene all’interno di bioreattori, ovvero grandi vasche che consentono la crescita, in un ambiente controllato, di cellule prelevate da un animale tramite biopsia, riducendo drasticamente il bisogno di risorse naturali. In circa due settimane, le cellule si moltiplicano per formare tessuti senza necessità di allevamento intensivo. Non si tratta, insomma, di creare alternative vegetali o “sintetiche” alla carne, ma di ricreare i soli tessuti commestibili in laboratorio, evitando di far nascere migliaia animali destinati a essere alimentati e uccisi nel giro di pochi mesi se non settimane.

Ma cos’è realmente la carne coltivata? Spesso erroneamente definita “carne sintetica”, la carne coltivata è ottenuta da cellule animali prelevate da un organismo vivo, cresciute in un ambiente nutriente. Le cellule staminali si differenziano in cellule muscolari, consentendo la produzione di carne in laboratorio senza la fatica e l’impatto ecologico degli allevamenti tradizionali. Il processo è peraltro già utilizzato in altre Industrie alimentari come quelle della birra e dello yogurt.

 

 

Leggi anche: Abbiamo provato la carne-non carne di Impact Food

 

 

Un nuovo mercato tutto da scoprire (e regolamentare)

In Europa, la carne coltivata è regolamentata come Novel Food e deve rispettare severi controlli prima di entrare nel mercato. La sicurezza alimentare è garantita da normative rigorose. Tuttavia, il dibattito sulla naturalità della carne coltivata contro quella tradizionale resta acceso, con un diffuso scetticismo che spesso non poggia su basi scientifiche concrete.

Per un’ampia fetta della comunità scientifica, i vantaggi della carne coltivata sono chiari. Una produzione controllata riduce il rischio di malattie zoonotiche e non richiede antibiotici, né ci sono evidenze scientifiche di possibili problemi per la salute. Senza considerare gli effetti benefici sul territorio: Greenpeace stima che, in Europa, il 70% della superficie agricola (125 milioni di ettari di terra) è attualmente destinata ad alimentare allevamenti sempre più intensivi.

E i contro? Al di là dei timori legati alla “sinteticità” del prodotto, spesso e volentieri cavalcati da movimenti conservatori e Science Skeptic, a preoccupare è semmai l’impatto economico sul settore degli allevamenti e del processamento della carne. Una filiera che impiega milioni di persone nel mondo.

Altro elemento di turbamento, questa volta di carattere etico, è legato all’uso del siero fetale bovino (un sottoprodotto dell’Industria della carne) nel processo di “coltivazione” delle cellule. Un ingrediente che però, secondo gli scienziati, potrebbe essere presto rimpiazzato da alternative vegetali.

 

Cosa ci aspetta?

Nonostante le resistenze del governo italiano, che nel dicembre 2023 ha vietato la produzione e commercializzazione della carne coltivata nel nostro Paese, adducendo motivi di protezione della salute pubblica e tutela dei prodotti considerati di “rilevanza strategica per l’interesse nazionale”, l’UE potrebbe stravolgere le carte in tavola.

Qualora l’Autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare (EFSA) dovesse approvare la sicurezza della carne coltivata, questa potrà entrare nel mercato europeo e potrà essere acquistata. Il disegno di legge emanato dall’attuale governo dovrà pertanto sottostare alla decisione dell’UE, mettendo la popolazione italiana nella condizione di poter acquistare la carne coltivata purché non abbia provenienza italiana. A rimetterci, insomma, sarebbe “solo” la nostra Ricerca. Con il rischio concreto di rimanere ancorati a un passato di sicuro non più sostenibile.

 

Leggi anche: Clonazione di animali domestici tra Scienza, Etica e business

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