Come l’eliminazione dei programmi di inclusione & diversità e Fact Checking da parte di Meta rischia di ampliare il divario di genere nel digitale. “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”: ne parliamo con Barbara Leda Kenny, Senior Gender Expert della Fondazione Giacomo Brodolini
Come nel celebre romanzo di Tomasi di Lampedusa, anche nella Silicon Valley tutto sembra cambiare per rimanere com’era. Meta, la società madre di Facebook e Instagram, compie un salto all’indietro mascherato da Innovazione, eliminando programmi di diversità e Fact Checking che avevano segnato anni di apparente progresso verso l’inclusione digitale.
Barbara Leda Kenny, Senior Gender Expert della Fondazione Giacomo Brodolini, svela il paradosso di questa “rivoluzione conservatrice”. Lo scorso 7 gennaio, Mark Zuckerberg ha annunciato l’eliminazione dei Fact Checker di terze parti, optando per un sistema di auto-regolamentazione da parte della comunità. Contemporaneamente, l’azienda ha smantellato i programmi di diversità, equità e inclusione, eliminando la posizione di responsabile della diversità e gli obiettivi di assunzione delle minoranze.
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È come se i gattopardi del tech stessero riscrivendo le regole del gioco per tornare, osserva Kenny, “a un passato dove il successo era considerato puramente merito individuale, negando l’esistenza di privilegi sistemici”. Questa narrazione colpisce particolarmente le donne, le persone con disabilità, le minoranze, gli anziani e la comunità LGBTQIA+.
In Italia, questo “ritorno al passato digitale” si somma a divari già esistenti:
- il Sud digitalmente distante dal Nord;
- le donne ancora in svantaggio nell’alfabetizzazione tecnologica;
- le barriere socio-economiche che limitano l’accesso al mondo digitale.
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Ma, come in ogni storia di cambiamento, c’è un baluardo di resistenza: la scuola pubblica. “È la nostra ultima fortezza digitale – sottolinea Kenny – l’unico luogo dove ancora possiamo costruire una vera cittadinanza digitale democratica“. L’istruzione pubblica rimane lo strumento principale per garantire pari opportunità, soprattutto nei contesti più fragili.
“Rischiamo di ampliare i divari sociali esistenti – avverte l’esperta – se non garantiamo che l’alfabetizzazione digitale raggiunga le nostre comunità più vulnerabili”. La sfida è chiara: evitare che la rivoluzione digitale diventi l’ennesimo “gattopardo tecnologico”, dove il cambiamento serve solo a confermare vecchi privilegi.
La partita per il futuro si gioca proprio qui: tra una visione che vorrebbe riportare indietro le lancette dell’inclusione digitale e la necessità di un approccio integrato che sappia coniugare competenze digitali e sensibilità ambientale come strumenti di cittadinanza attiva. Solo così potremo evitare che, come nel Gattopardo, tutto cambi perché nulla cambi veramente.