Una tavola rotonda organizzata da Workitect che ha indagato i nuovi contratti aziendali possibili per una prestazione lavorativa di quattro giorni
La settimana corta arriva anche in Italia? Se sì, in che modo potrebbe arrivare? Queste le domande principali a cui hanno cercato di rispondere gli esperti durante il webinar organizzato da Workitect lo scorso 30 marzo. Infatti, come sta già succedendo in altri Paesi europei, anche da noi si comincia a parlare di settimana lavorativa corta. In Italia si stanno ipotizzando e in alcuni casi realizzando nuovi contratti aziendali articolati per una prestazione lavorativa di “soltanto” quattro giorni.
Siamo davvero di fronte a una possibile rivoluzione che vedrà coinvolte le organizzazioni sindacali e le aziende verso la sperimentazione di nuove regole. Sembra strano pensarci adesso, ma un tempo era stato assurdo anche ipotizzare di passare da sei giorni lavorativi a settimana a cinque. Tuttavia, come avverrà questo cambiamento? Si andrà avanti tramite contratti singoli, associazioni sindacali o sarà necessaria una mossa del governo che vada a modificare la legge del 2003 che regola gli orari di lavoro?
La discussione ha visto intervenire i seguenti ospiti esperti in materia: Cristina Tajani, docente presso il Politecnico di Milano, già Presidente di ANPAL servizi SPA, società in house del Ministero del Lavoro e ANPA; Marco Leonardi, Professore di Economia già capo del Dipartimento per la Programmazione economica alla Presidenza del Consiglio; Luca Solari, Founder di OrgTech e Professore ordinario all’Università Statale di Milano; l’Avv. Sergio Alberto Codella, partner dello Studio Orsingher Ortu Avvocati Associati, esperto di diritto del lavoro, della previdenza sociale e sindacale.
Vediamo insieme i punti salienti dell’incontro.
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C’è il rischio che si tratti di una trasformazione che possa riguardare solo le grandi aziende? C’è un giusto modo per arrivare alla settimana corta?
Queste le parole della docente Cristina Tajani, che ci fanno capire l’importanza del contesto socio-economico attuale in ogni scelta che prenderemo, come cittadini e come lavoratori.
“Non possiamo dimenticare, prima di parlare di settimana corta, che stiamo vivendo un difficile rimbalzo economico dopo lo shock pandemico. La nostra economia si sta riprendendo proprio ora, poi ci sono altre variabili nello scenario internazionale: la guerra, con il conseguente aumento delle materie prime, l’inflazione. A queste variabili internazionali, per l’Italia aggiungerei un altro riferimento: l’effetto della crisi demografica sul mercato del lavoro. C’è di conseguenza una difficoltà a reperire professionalità adeguate, non si riesce a incrociare domanda e offerta. Ricordiamo, infatti, che siamo molti meno dei pensionati che stanno uscendo ora dal mercato, un dato che sfida ogni organizzazione. In più, oggi esiste una mutata priorità dei lavoratori rispetto ad alcuni temi strategici: in primis il Work-Life Balance, che è poi direttamente associato a quel fenomeno di disaffezione dei lavoratori rispetto alle attività che ha portato al famigerato Quiet Quitting. In questo contesto, quindi, tematiche come lavoro ibrido e settimana corta possono funzionare per colmare questo vuoto.”
Sembra, quindi, che si stia iniziando a capire che è quasi obbligatorio per le aziende che vogliono avere successo riuscire a immaginare modelli e soluzioni nuovi. Anche perché, da persona, e non solo da lavoratore, perché dovrei investire cinque giorni del mio tempo per svolgere un lavoro che potrei gestire in quattro senza intaccare la produttività?
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L’altro lato della medaglia della settimana corta è stato poi messo in luce dal Prof. Marco Leonardi, che si è chiesto: “siamo davvero certi che tutti i lavoratori vogliano lavorare meno?”
In effetti, stiamo attraversando un periodo di grande scontro pubblico sul tema dell’aumento dei salari a livello nazionale. “In quanti”, ha continuato il Professore, “preferirebbero lavorare meno ore e in quanti invece vorrebbero una paga più alta?” Naturalmente, in uno Stato sano non si dovrebbe scegliere, eppure eccoci qui.
Anche Leonardi, però, sembra propendere per una valutazione positiva della settimana corta, a patto che vengano poste delle basi legislative solide sulla questione. Inoltre, ha citato un libro che dovremmo recuperare sulla materia: “Friday is the New Saturday: How a Four-Day Working Week Will Save the Economy” dell’economista Pedro Gomes.
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L’Avv. Sergio Alberto Codella, crede fermamente che il futuro del mondo del lavoro sia la settimana corta, ma la vera questione, che ha posto è: come attuarla?
“La domanda non è poi così ovvia e parte da un presupposto. Infatti, dobbiamo ricordarci dell’orario di lavoro nella settimana corta. Ci sono tre soluzioni. In primo luogo, gli accordi individuali, che sotto il profilo giuridico significa ‘accordi di part-time’, ma qui non ci sarebbe grande innovazione. Poi altre due soluzioni: intervento legislativo e accordi sindacali. Tutti si scordano della legge 66/2003 che fissa l’orario lavorativo a 40 ore a settimana, salvo diverso accordo sindacale. Una strada che si potrebbe percorrere è poi quella di ricordarsi che la settimana corta è integrabile con lo Smart Working. Anche quest’ultimo è nato in assenza di una legge e anche questo come la settimana corta all’inizio sembrava impossibile. Eppure gli istituti bancari e assicurativi hanno fatto da apripista e hanno fatto capire al pubblico che si può fare.”
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Infine, si è parlato di remunerazione, del nodo produttività e della biforcazione del mercato del lavoro con il Prof. e Founder di OrgTech Luca Solari.
“Quando vogliamo discutere di settimana corta dobbiamo capire che rientra negli elementi di soddisfazione del lavoratore di oggi. Parliamo della messa in discussione dell’equità, ma in particolare della nostra percezione di equità relativa. Come faccio a capire se le condizioni del mio lavoro sono eque? Inizio a compararmi ad altri lavoratori. La settimana lavorativa di quattro giorni è l’ennesima soluzione che va a colmare questo bisogno latente del lavoratore.”
Oggi si va in questa direzione: stiamo spezzando quel precario equilibrio lavorativo che ci vedeva meno padroni del nostro tempo. Era davvero equilibrio? Non era forse il perpetuarsi di una situazione scomoda per la paura di dire “no”?
Infine, anche il Prof. Solari ha riconnesso il tema della settimana corta con quello del lavoro da remoto.
“Pensiamo anche allo Smart Working: non tutti lavorano da casa per risparmiare tempo, tanti lo fanno anche per riappropriarsi del proprio tempo. Pensiamo al costo psicologico delle ore improduttive, delle riunioni inutili, e così via. Oggi le organizzazioni non sono ben strutturate e queste soluzioni possono aiutare a dare un senso alla giornata lavorativa.”
Quindi, la settimana corta come riconquista di senso. Un’azienda, grande o piccola che sia, nel 2023, perché dovrebbe dire di no, a parità di produttività?
Sembra proprio che abbiamo appena iniziato a grattare la superficie della questione.
Più si andrà a fondo, più ne parleremo.