STRANGER BOOKS

The Big Disruption

Intervista a Jessica Powell, autrice del bestseller “La grande distruzione”

 

 

Per la terza puntata di Stranger Books attraversiamo l’oceano e andiamo in California. A fare cosa? Vi chiederete. A incontrare una voce autorevole della Silicon Valley, ecco cosa! Lei è Jessica Powell, ex Vice Presidente della Comunicazione di Google, e oggi si racconta ai nostri microfoni in qualità di autrice. Preparatevi ad assistere a uno spettacolare incontro tra libri e tecnologia.

Questa la storia: dopo aver lasciato il suo lavoro in casa Google, Powell ha scritto e pubblicato un romanzo satirico proprio sulla Silicon Valley: “The Big Disruption, a totally fictional but essentially true Silicon Valley story(Medium Editions, 2019). Secondo The Guardian le cose sarebbero andate più o meno così: è il 2018, un giorno qualsiasi di un settembre come un altro, quando Jessica Powell scorre l’elenco dei contatti del suo telefono e invia un messaggio al suo vecchio capo, il CEO di Google, Sundar Pichai.

Lo informa che sta per pubblicare un romanzo satirico sulla Silicon Valley, che i lettori potrebbero interpretare come riguardante Google. Quella giornata prende improvvisamente una piega inaspettata, ed è subito incontro-scontro tra mondo tech e editoria.

 

 

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Ebbene, quest’anno il libro è arrivato in Italia, edito e tradotto da Campanotto Editore con il titolo “La grande distruzione”. E noi non potevamo non leggerlo. Fin dalle prime pagine una domanda si insinua tra i nostri pensieri: perché? Insomma, da membro del management team di Google a sguardo critico su quel mondo il cambiamento è drastico.

Cosa ha spinto Jessica Powell a fare dietrofront?

Per fortuna, per rispondere a queste e ad altre domande abbiamo un asso nella manica. Un asso di nome Alessandra Pagani. La nostra conduttrice ha incalzato l’autrice in un fitto botta e risposta, dando vita a una chiacchierata spumeggiante e scorrevole. Il giusto mix di dettagli appetitosi e riflessioni profonde. Sul piatto, sempre presente, il libro.

Un’utopia a misura di ingegnere. Un CEO fissato con lo yoga. Un bidello con un passato da re e un futuro da product manager. E un team che le prova tutte, ma proprio tutte, per creare la perfetta hookup app. Signore e signori, benvenuti nel mondo firmato Jessica Powell. Un mondo che vi farà ridere di gusto, ma vi lascerà anche l’amaro in bocca. Siete avvertiti: l’apparenza inganna.

Per saperne di più, premete play!

Eleonora Medica

 

 

Traduzione

 

Jessica, perché hai scritto questo libro?

Era il 2012 e stavo lavorando in una startup a Londra, Badoo. E lì ho percepito per la prima volta che tutto quello che dicevamo, tutto quello che facevamo arrivare al mondo esterno, era marketing; noi dicevamo che stavamo aiutando le persone a “combattere la solitudine” a “creare connessioni nel mondo reale”, ma era un’app per rimorchiare! Per incontrare persone in modo casuale. Allo stesso modo si parlava di Badoo come del miglior posto in cui lavorare. Ma internamente le cose erano molto diverse. Un giorno sono arrivata in ufficio e c’era un dildo sulla mia scrivania. C’era un contrasto evidente tra ciò che dicevamo al mondo e come stavano davvero le cose. Ho notato lo stesso contrasto alle conferenze delle startup. Una volta, durante il DLD (Digital-Life-Design Conference) in Germania, ho sentito parlare Brian Chesky, il CEO di Airbnb. Era sul palco e stava dicendo che se tutti avessimo vissuto gli uni nelle case degli altri, scambiandoci e condividendo gli appartamenti, ci sarebbero state meno guerre nel mondo. Insomma, Airbnb poteva portare la pace nel mondo. E noi non siamo stati da meno! Siamo saliti sul palco e abbiamo parlato di come stavamo cancellando la solitudine. Al ritorno dalla conferenza, mentre volavo comodamente seduta in business class – cosa che i miei genitori non hanno mai fatto – mi sono chiesta: perché sono seduta qui? Come possiamo avere tanto potere? Perché le persone sono così affascinate da quello che facciamo? Perché ok, facciamo anche cose interessanti, ma in gran parte è marketing. Dietro a quello che facciamo c’è tanto buon vecchio marketing.

 

Contraddizioni, logica del profitto e miseria umana sono concetti chiave del libro. Ma quanto si tratta di un ritratto accurato? Quanto manca l’intelligenza emotiva e sociale nel mondo tech? Stiamo davvero andando verso la distruzione dei legami sociali?

Il titolo originale del mio libro è The Big Disruption, a totally fictional but essentially true Silicon Valley story. Ed è esattamente così, nulla di ciò che scrivo è vero, ma potrebbe esserlo! Quando stavo scrivendo non avevo in mente di realizzare un libro. Scrivere era per me un’esperienza catartica, per razionalizzare la follia che mi circondava. Il problema della Silicon Valley è che noi ci siamo sempre venduti come qualcosa di diverso da un’industria. Abbiamo sempre parlato di noi come qualcosa di diverso, di migliore. Ma se quello è l’obiettivo allora bisognerebbe combattere quei meccanismi che nascono spontaneamente nelle compagnie tradizionali. In Valley venivamo tutti dalle stesse scuole, ci assomigliavamo tutti, venivamo tutti dallo stesso contesto e avevamo tutti la stessa età. Quando non ti circondi di diversità non importa che tu proclami di star costruendo qualcosa per il mondo intero, in ultimo quello che fai è costruire pensando a te stesso e a chi ti assomiglia. Così nascono le cattive decisioni. Tu non vedi cosa stai sbagliando perché ti manca quel punto di vista. Nel libro è così. Nella realtà è così.

 

Quindi le politiche di inclusione sono solo una facciata? Semplice marketing?

Molte compagnie hanno questo problema, lo vedo in USA, lo vedo nel mondo tech. Il problema è di nuovo che le compagnie tecnologiche sostengono di fare meglio. C’è poi questa idea che la tecnologia sia neutrale, che non possa discriminare. Che una tecnologia sia per tutti. Ma non è così. L’esperienza online di uomini e donne è molto diversa, per esempio. Prendiamo il caso di Uber, per una donna salire da sola sulla macchina di uno sconosciuto, nel sedile anteriore, avendo un contatto fisico con il conducente non sembra poi così piacevole. Eppure, la campagna di lancio invitava a sedersi davanti e salutare il conducente con una stretta di mano, come un amico. Forse quando è stata lanciata l’app non c’era nessuno nella stanza a obiettare, a dare il suo punto di vista. Quel punto di vista. E questo è ciò su cui bisogna lavorare, perché per rendere una tecnologia universale bisogna progettarla tenendo in considerazione il maggior numero di punti di vista possibile.

 

Il 2020 è l’anno in cui il tuo libro è arrivato in Italia, ma è anche l’anno di uscita di The Social Dilemma su Netflix. Vedi qualche punto in comune tra il tuo libro e il documentario?

Credo che il punto di incontro tra il mio libro e il documentario sia l’aver capito che quando i profitti di una compagnia sono direttamente legati alla sua capacità di trattenere le persone, di creare engagement, allora questa cercherà di ottimizzare al massimo la sua capacità attrattiva. L’errore è pensare che una compagnia non possa essere immorale. Le compagnie sono la forma più naturale di psicopatico. E le loro azioni hanno un impatto e delle conseguenze. Sono – e devono essere – responsabili di ciò che fanno e di ciò che comunicano.

Ospite

Jessica Powell

Jessica Powell, cresciuta a Orange County e laureata in Letteratura Comparata a Stanford, è nota per essere ex Vice Presidente della Comunicazione di Google, ma anche come autrice ed editorialista di The New York Times e The Guardian. Powell è anche autrice del bestseller della letteratura tech “The Big Disruption: A Totally Fictional but Essentially […]

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