CINETECHA

Come il budget influenza il mondo dell’animazione

“Fateci caso: un cartone è particolarmente ben animato? Forse avrà un design minimalista. Il design è estremamente dettagliato? Magari l’animazione lascia a desiderare”

 

Con l’avanzare della tecnologia è sempre più semplice, e al contempo economico, realizzare film d’animazione e cartoni animati, ma in questa puntata di Cinetecha, insieme a David Cinnella, ripercorriamo la storia dell’animazione e il suo andare di pari passo con la disponibilità di un budget più o meno alto.

Si comincia dai primi cartoni di Walt Disney, caratterizzati da uno stile di disegno piuttosto semplice, ma da un’animazione estremamente fluida, per passare poi ai diretti competitor, i Warner Bros. con i loro Looney Tunes, più dinamici e rapidi nei movimenti rispetto a personaggi come Topolino e Paperino. L’animazione dei fratelli Warner, però, almeno per i primi tempi non era altrettanto fluida, perché confinata ad alcuni momenti precisi, come le rocambolesche fughe dei personaggi fuori dall’inquadratura.

 

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Si passa poi ad analizzare i cartoni della Hanna Barbera Productions che, negli anni ’70, dominarono la scena dell’animazione. Il motivo? La cravatta dell’Orso Yoghi. Tutto nudo, fatta eccezione per il cappello, il collare e la cravatta, Yoghi era di fatto separabile in due: testa e corpo. Questo espediente ha permesso allo studio di produzione di realizzare moltissime puntate in tempi rapidi, animando solo la testa dell’orso e tenendone il corpo immobile.

In seguito questo trucco è stato utilizzato per molti altri personaggi di Hanna Barbera, che finirono così per dominare il 75% dell’animazione in tv, almeno fino all’avvento, negli anni ’80-’90, di cartoni animati più evoluti, seppur nati come strumenti pubblicitari per giocattoli, come le Tartarughe Ninja.

 

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Non manca una parentesi su Cartoon Network che, dopo aver acquisito i capolavori di Hanna Barbera, diede ampio spazio a nuovi cartoonist, che realizzarono capolavori come Il laboratorio di Dexter, Mucca e Pollo, Le Superchicche e così via. L’epoca storica era favorevole, la voglia di sperimentare era tanta e c’era una buona disponibilità economica.

Nel corso dell’episodio, però, apprendiamo che non è stata solo la maggiore o minore disponibilità di denaro a caratterizzare i prodotti delle diverse scuole di animazione. Più determinanti sono state le scelte operate dagli studi di produzione in merito agli aspetti sui quali risparmiare. Volando oltreoceano, verso il mondo degli anime giapponesi, scopriamo che, fin dal primissimo anime, Astroboy, ideato nel 1952, l’influenza americana, e in particolare dell’immaginario Disney, si avvertì tanto, soprattutto nel design dei grandi occhi del protagonista. Il budget destinato alla produzione di cartoni animati in Giappone, però, era decisamente inferiore a quello degli studi di produzione americani.

 

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Astroboy si rivelò un personaggio fortunato. Furono prodotti altri anime, caratterizzati da quel momento in poi sempre da pupille enormi e ricchissime di dettagli, ma l’animazione restò a lungo scadente. Per risparmiare, molti studi realizzarono personaggi con una bocca piccolissima, disegnata in due posizioni, aperta e chiusa, oppure aumentarono le inquadrature di dettaglio sugli occhi, per evitare proprio di animare la bocca. Un altro trucco, noto agli amanti dei cartoni animati giapponesi, è la scelta di realizzare storie ricche di dialoghi ma prive di azione. Pensate alle puntate infinite di Dragonball, in cui, dopo tante parole, le “botte” erano relegate negli ultimi minuti dell’episodio.

Laddove gli studi di produzione americani si sono focalizzati più sull’animazione, e meno sul design, i giapponesi hanno fatto il contrario, creando personaggi, dettagli e sfondi mozzafiato, sacrificando spesso l’animazione e l’azione, ma dando vita, quasi inconsapevolmente, un genere e un linguaggio visivo tutto loro.

Sabrina Colandrea

 

 

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