Intervista a Jeremy Black, storico britannico e docente di storia all’Università di Exeter
“Non esiste un’arte bellica comune a tutto il mondo. Coesistono diversi modi di fare la guerra e per diversi scopi.” Jeremy Black.
La guerra cibernetica ci mette davanti alla complessità del nostro mondo. Un mondo caratterizzato da disparità tecnologiche e sociali, dove la percezione del danno risponde a parametri diversi. Quando la cyberwar è una minaccia? Chi fa tremare e chi lascia indifferenti?
Per sua stessa natura la guerra informatica richiede civiltà relativamente sofisticate. Società che avvertono il pericolo in rete. Ma è un pericolo da cui è difficile difendersi.
Nessun paese da conquistare, nessuna ricchezza da sottrarre. Oggi lo scopo di un attacco informatico può essere circoscritto al puro piacere di generare caos. È un panorama nuovo, dove le classiche analisi militari perdono progressivamente valore.
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Il soft power della guerra cibernetica è la sua capacità di far serpeggiare idee e sensazioni, e in ultima analisi condizionare la società. Il core del potere di attacco è la sua penetrazione nella popolazione.
Le domande che balzano alla mente sono molteplici: quanto la velocità di circolazione di dati e informazioni è parte del problema? Come la nostra società sta reagendo alla sovrainformazione?
Secondo lo storico Jeremy Black, il meccanismo non è differente a quello del Covid-19. La rapidità con cui l’allarme si è sparso e infiltrato nelle nostre menti dovrebbe farci riflettere. Possiamo solo immaginare il potere di convincimento cui può arrivare l’informazione in quei paesi dove i media sono controllati da un regime. Senza contare il fattore terrorismo…
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E le interferenze di potere? Missili e pistole non sono le uniche vie per portare avanti una guerra. L’Europa teme la crescita del potere cinese. Perché? Colpiti dalla pandemia, molti paesi sono alla disperata ricerca di investimenti, e questo – in un mercato dove il potere economico è la via maestra per il potere politico – li rende vulnerabili. Non è tanto la malattia, dunque, ma la risposta alla malattia che espone a debolezze strategiche.
Ancora una volta il panorama è variegato. Come è stato per le guerre del passato, così sarà per le sfaccettate guerre del futuro.
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Eleonora Medica