Oltre la psicoterapia online. Quando lo psicologo è ChatGPT

Sempre più giovanissimi si rivolgono al chatbot per interrogarlo sui loro disagi, complici i suggerimenti di influencer che, più o meno consapevolmente, trattano la terapia alla stregua di una moda, suggerendo di ricorrere a ChatGPT anche per risparmiare sulla parcella dello psicologo

 

 

“Dibi dabi. Duda bodi?”. Recita così il nuovo spot di Serenis, uno dei servizi di psicologia online in videochiamata più popolari in Italia, in cui una ragazza prova, invano, a comunicare con un’amica, con il proprio compagno e con una parente, finché non incontra una terapeuta che parla la sua stessa lingua. “Lo psicologo giusto sa come capirti” è il claim – dritto al punto – con cui si chiude lo spot. Efficace agli occhi di chiunque si senta incompreso nella vita di tutti giorni (ma forse bastava dire agli occhi di chiunque).

Nonostante l’innegabile successo degli ultimi anni, però, la psicoterapia online incontra ancora delle resistenze tra i professionisti della vecchia guardia, che sostengono la necessità delle sedute dal vivo, che si portano appresso un setting peculiare, che avrebbe delle ricadute positive sul percorso terapeutico.

Ancora una volta, a modificare lo scenario, e a condurci alla situazione odierna in cui coesistono terapia tradizionale e terapia online, è stata soprattutto l’esperienza del Covid-19, con l’impennata di disagi emotivi e psicologici, esacerbati dal lockdown, che non potevano che trovare conforto nel web. Fatto sta che oggi le due vie sono ugualmente percorribili ed è sicuramente un bene che molte più persone si siano concesse la possibilità di indagare il loro disagio interiore.

Ma non è finita qui. In tempi più recenti, infatti, parallelamente alla diffusione di chatbot su larga scala, si sta facendo strada tra i giovanissimi il ricorso a ChatGPT (e non solo) come psicologo.

Secondo una stima di Mattia Della Rocca, docente di Psicologia degli ambienti digitali all’Università di Tor Vergata, almeno il 20% dei nativi digitali potrebbe aver usato almeno una volta l’AI come sostituto della terapia.

 

 

Ascolta anche: Alla scoperta della Gen Z con Chiara Caccioppoli

 

 

Ma l’intelligenza artificiale può migliorare la salute mentale?

Tra gli altri, se lo è chiesta Danila De Stefano, psicologa, Founder & CEO di Unobravo, in un post condiviso di recente sul suo profilo LinkedIn. “Il dibattito è timido, ma sta partendo”, ha esordito. E ha aggiunto: “Per ora si basa soprattutto su opinioni, o su evidenze scientifiche precedenti all’AI, che hanno dimostrato quanto elementi umani, come l’alleanza terapeutica, siano fondamentali nel successo di un percorso psicologico. Ma ora qualcosa si muove”.

De Stefano ha citato in merito al tema AI e salute mentale il recente studio clinico randomizzato pubblicato su NEJM AI, che ha testato l’efficacia di Therabot, chatbot basato sull’intelligenza artificiale generativa, e perfezionato da esperti, nel trattamento di depressione, ansia e disturbi alimentari.

Lo studio ha dato risultati positivi, con riduzioni significative dei sintomi, seppure su un campione esiguo (210 utenti), dando – a detta della CEO – un primo segnale concreto e positivo che si può provare a dare fiducia alla tecnologia come strumento terapeutico – chiaramente perfezionandola e regolandola – se non altro per consentire a una fetta più ampia di popolazione di accedere al surrogato di uno psicologo vero, che non tutti si possono permettere.

 

 

Ascolta la nostra intervista a Danila De Stefano: Italiano, expat o no, può servirti Unobravo

 

 

Il rischio di amplificare il disagio psicologico

Oltre a De Stefano, diversi altri esperti si sono espressi sull’uso di chatbot in ambito psicologico.

Vale la pena di citare la posizione dell’ex Presidente Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, David Lazzari, che ha manifestato profonda preoccupazione in merito al diffondersi tra i giovani dell’abitudine di chiedere aiuto ai chatbot. A suo avviso, al disorientamento degli adolescenti bisognerebbe rispondere con una rete pubblica di psicologia accessibile a tutti, attraverso servizi “come lo psicologo scolastico o lo psicologo di base”.

Intervistato dal Fatto Quotidiano, Lazzari si è spinto a dire che il fenomeno del ricorso alla chatbot-terapia da parte degli adolescenti, dilagante ormai anche in Italia, presenta diversi rischi, non da ultimo quello che il disagio psicologico si amplifichi, perché “queste piattaforme presentano limiti e lacune; promettono molto, ma in sostanza danno poco e spesso male, soprattutto se usate come totale alternativa a un esperto”.

Tra gli elementi su cui porre l’attenzione, secondo Lazzari, c’è poi la consuetudine dell’AI di fornire risposte standardizzate agli utenti, senza riconoscere l’unicità di ciascuno.

Anche Annalisa Poiana, psicoterapeuta specializzata in Terapia breve strategica, in un articolo dedicato al tema pubblicato sul proprio sito, ha avvertito i lettori che, in alcuni casi, l’uso dell’intelligenza artificiale potrebbe alimentare comportamenti disfunzionali, come la ricerca ossessiva di rassicurazioni, peggiorando il problema iniziale.

Nel coro dei critici si può annoverare anche la voce di Marc Masip, psicologo esperto in dipendenze da nuove tecnologie, che a sua volta ha messo in guardia sull’uso di ChatGPT come sostituto della terapia, sottolineando che, sebbene l’intelligenza artificiale possa fornire risposte coerenti, manca del contatto umano essenziale nella terapia, dell’empatia e della comprensione emotiva. Masip ha affermato: “ChatGPT non cura, curano i professionisti“.

 

 

Avevamo parlato di Serenis qui: Una seduta di psicoterapia a portata di clic

 

 

La soluzione, come spesso accade, sta nella misura?

Valerio Rosso, psichiatra e psicoterapeuta, ha testato ChatGPT e ne riconosce l’utilità, sempre se utilizzato con cautela.

A suo avviso, infatti, l’assenza di giudizio dell’intelligenza artificiale può facilitare l’espressione personale e la disponibilità continua del chatbot può offrire supporto tra una sessione terapeutica e l’altra. Anche Rosso, però, insiste sulla necessità di validare scientificamente l’uso dei chatbot attraverso studi clinici.

Chiamato in causa sull’argomento, ChatGPT “in persona” sostiene che il ricorrere a un chatbot in ambito psicologico “presenta sia opportunità che rischi, poiché può offrire supporto immediato e accessibile, ma non sostituisce la complessità e la profondità della relazione terapeutica umana”.

Umanamente, mi spingo oltre e dico che chiedere consiglio all’AI per qualsivoglia turba ci stia attraversando è una pessima idea. Ma sono aperta a cambiare opinione conversando in radio con gli esperti che volessero approfondire l’argomento.

S. C.

 

Leggi anche Il futuro dell’AI: cos’è l’Affective Computing

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