Luci e ombre delle cryptovalute. La cybersecurity davanti a OneCoin, furti exchange e 51% attack
Truffe, illeciti, inganni, rapine. Fan di Ocean’s Eleven questa puntata è per voi. No, non ci addentreremo in un mondo fatto di sgargianti casinò e massicce casseforti. Le frodi più sensazionali oggi si fanno in rete. Oggetto del bottino: cryptovalute.
Saranno anche giovani, ma la storia di queste tecnologie appare già segnata da furti multimilionari. Da Ruja Ignatova, la regina fuggitiva di OneCoin, al caso Ethereum, fino agli attacchi ai servizi di exchange il pericolo in agguato è sempre lo stesso: la sparizione di milioni di dollari.
Ma procediamo per gradi. Come funzionano le nuove monete digitali? Su quali tecnologie si fondano? Dove si annidano i rischi? E soprattutto, cosa rende possibile gli “incidenti”? Ogni domanda troverà la sua risposta.
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Parte del problema è strutturale. L’assenza di un’autorità centrale è croce e delizia di questi strumenti. Se da un lato la trasparenza del codice sorgente è garanzia di trust, dall’altro permette a qualsiasi malintenzionato di sfruttarne le vulnerabilità per un ritorno economico personale.
Qualche dato? Nel 2014 il “furto del secolo”, spariti 480 milioni di dollari in bitcoin dal sito Mt. Gox. Poi i numeri si abbassano. Un hacker sottrae 7 milioni di euro a Coin Dash, è il 2017. Nel 2018 una serie di attacchi a tre cryptovalute – MonaCoin, Verge e Bitcoin Gold – fa volatilizzare altri dollari, 18 milioni solo per Bitcoin Gold. Tutta colpa di un 51% attack. Quell’anno si registra la sottrazione di più di un miliardo di dollari in bitcoin a livello globale, con un aumento del 260% rispetto all’anno precedente. Insomma, non c’è da annoiarsi.
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Solo pareri negativi dunque? Certo che no. Le cryptovalute sono il futuro del mondo digitale. Comode, agili, semplici: troveranno un loro posto. In fin dei conti la storia è disseminata di mirabolanti rapine in banca e ogni epoca ha i suoi Bonnie e Clyde.
Eleonora Medica