Donne e lavoro. Come garantire un accesso paritario alle professioni emergenti legate alla trasformazione digitale? Ne parliamo con Bruna Brunetti, Patrizia Fiorentini e Maddalena Nocivelli
In questo ultimo episodio di Talk About IT, la serie podcast – realizzata in collaborazione con la sezione IT di Unindustria – con cui indaghiamo gli effetti della transizione verso modelli economici e produttivi digitali, il nostro Marco Borgherese affronta il tema delle competenze al femminile e delle nuove professioni abilitate dalle nuove tecnologie insieme a tre ospiti di rilievo: Bruna Brunetti, co-fondatrice, CFO e responsabile Risorse umane di HTDI Srl; Patrizia Fiorentini, Human Resources Leader per Sistemi Informativi Srl; e Maddalena Nocivelli, Presidente di DAB Sistemi Integrati Srl (già nostra ospite nell’episodio Donne e lavoro, una sfida ancora aperta).
Secondo il World Economic Forum, il 65% degli studenti che sta cominciando le scuole primarie svolgerà un lavoro di cui oggi non si conosce neppure l’esistenza. Il futuro del lavoro, dunque, sarà totalmente rivoluzionato e la tecnologia sarà assoluta protagonista. E le donne? Guardando al nostro Paese, solo una ragazza italiana su otto, secondo un report di “Save the Children” del 2021, pensa di poter aspirare a una professione scientifica. I preconcetti di genere radicati nella società rischiano di lasciare indietro numerose risorse che, se incentivate a seguire le proprie passioni e ambizioni, potrebbero invece produrre benessere collettivo e contribuire al progresso.
Ma facciamo un passo indietro: quali sono le professioni emergenti in un mondo in continua evoluzione? Le donne hanno accesso a queste nuove professioni? Ancora, come favorire in Italia lo studio delle materie STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) da parte delle bambine e delle ragazze?
“Le donne oggi dovrebbero avere l’opportunità, indipendentemente dal genere, di accedere a tutte le professioni, anche quelle che richiedono competenze digitali spiccate”, esordisce Nocivelli. “Il punto della questione – aggiunge la Presidente di DAB Sistemi Integrati – è che, se guardiamo i numeri, non è un problema solo delle donne. Secondo un’indagine dell’UE, nel prossimo futuro, 9/10 lavori richiederanno competenze digitali, che purtroppo in Italia sono carenti sia per gli uomini sia per le donne. C’è poi un’ulteriore classifica relativa alle digital skill dei 27 Paesi membri dell’Unione Europea, nella quale l’Italia risulta 18sima pur avendo un PIL che la posizionerebbe, almeno per dimensioni, al terzo posto. In linea di massima non ci dovrebbe essere differenza tra uomini e donne, l’accesso agli studi non ha alcuna distinzione di genere. A mio avviso è un fatto culturale, che ha ancora radici in una caratterizzazione del lavoro digitale come un lavoro altamente tecnologico, che richiede competenze particolari, meno tipicizzate per quelle che sono le propensioni che di solito si collegano alla figura femminile. Bisogna cambiare prima la testa delle persone. Poi chiaramente ci sono e ci potrebbero essere strumenti e approcci che aiutano la riduzione più veloce di questo gap o comunque il superamento di queste difficoltà culturali.”
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Ricollegandosi alla questione culturale, Fiorentini osserva che “è importante attivare dei percorsi virtuosi in favore di entrambi i generi, a tutti i livelli della società civile, a partire già dalla famiglia, e poi nelle scuole e nelle università fino ad arrivare alle imprese”. E aggiunge: “Per quanto riguarda noi donne, poi, la principale causa della propensione per le discipline umanistiche forse è da attribuire al famigerato, quanto infondato, stereotipo secondo cui la tecnologia e l’Informatica sono cose da uomini. In generale va proprio rivista la formazione delle nuove competenze digitali perché indubbiamente sono diventate sempre più importanti nel contesto sociale ed economico.”
Eppure, come riportato da Corrierecomunicazione.it, gli ultimi dati Eurostat relativi ai lavoratori nei settori Scienza e Tecnologia sembrano fotografare una situazione non troppo drammatica: a fine 2021 erano circa 74 milioni gli impiegati in questi ambiti, con una quota femminile del 52%, in aumento del 4% dal 2020 al 2021 e del 26% dal 2011. In 10 anni la percentuale è cresciuta di quasi 15 punti (+14,8%), l’equivalente di +1,2 milioni di donne. Il numero di uomini invece è aumentato del 10,8%.
Secondo Nocivelli, questi dati, però, vanno spacchettati.
“Le professioni scientifiche sono tante e non tutte simili, anche per la tipologia di competenze richieste. Tra le professioni scientifiche rientrano quelle mediche, in cui la presenza femminile è ormai molto rilevante. Tenete presente che l’80% degli psicologi in Italia è donna. Poi, mi fa piacere sapere che nell’IT, a livello europeo, le donne sono presenti, ma ci sono ancora moltissime differenze, anche perché le competenze digitali sono di diverso tipo. Ci sono quelle di base, che sono le stesse dei nostri figli che oggi approcciano con semplicità la tecnologia, e sono ormai abbastanza diffuse, ma quando si passa alle cosiddette hard skill digitali, la difficoltà di una presenza femminile e, in generale, per l’Italia la difficoltà di avere un numero elevato di persone preparate aumenta.”
Oggi è quanto mai cruciale prevedere una formazione specifica per potenziare le hard skill digitali. Tra queste, la Big Data Analysis, che “sarà sempre più importante nel prossimo futuro in diversi campi, per esempio nel Marketing; o, ancora, la cybersecurity, che può essere applicata all’ambito aziendale, per evitare Data Breach che possano ledere la sicurezza dell’azienda, ma anche al settore sanitario, per esempio, in cui va garantita la sicurezza dei dati sensibili”.
Con le parole di Brunetti, per favorire l’inclusione delle donne nei settori altamente tecnologici è necessario promuovere politiche mirate, creando ambienti in cui uomini e donne abbiano le stesse opportunità e gli stessi diritti. “Educazione e formazione vanno già in questa direzione da anni, ma dobbiamo investire ancora nell’istruzione delle giovani donne che si trovano davanti a una scelta, incoraggiandole a studiare le materie STEM, per far sì che possano accedere poi a corsi di formazione professionali che contribuiscano ad abbattere le barriere di genere”, commenta la CFO e responsabile Risorse umane di HTDI. E conclude: “In Europa una specialista informatica su sei è donna, in Italia il numero si riduce notevolmente. Solo il 3% delle startup tecnologiche in tutto il mondo è fondato da donne. E c’è un altro tema. Bisogna trovare un equilibrio tra lavoro e vita privata, incrementando i congedi parentali, concedendo orari flessibili e, in generale, pari opportunità rispetto agli uomini.”
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Come formare sulle nuove competenze richieste dalla Digital Transformation? Sarebbe maggiormente auspicabile se questa formazione avvenisse a livello accademico o se fosse portata avanti dalle aziende?
Secondo Fiorentini, Human Resources Leader per Sistemi Informativi (IBM), pur essendo necessario partire già dalle scuole, oggi l’attenzione deve andare soprattutto a coloro che stanno affrontando un percorso accademico, che necessitano di un’accelerazione verso l’acquisizione delle competenze digitali in vista dell’ingresso nel mondo del lavoro. Naturalmente,
“i percorsi formativi non si devono limitare all’alfabetizzazione digitale, ma devono essere declinati in ambiti più pratici: l’analisi dei dati, la programmazione, la progettazione, la sicurezza informatica, per poi arrivare ovviamente all’AI e al Machine Learning. Come farlo? Attraverso dei laboratori, l’esecuzione e lo sviluppo di progetti che consentano agli studenti di applicare le competenze di cui entrano in possesso durante i percorsi accademici in contesti reali, strutturati. Sicuramente questi progetti potrebbero realizzarsi con la costante collaborazione tra le istituzioni e le aziende, che hanno la vista su nuove tecnologie, esigenze di mercato, emergenze. […] Quanto alla formazione continua, bisogna prevedere una varietà di modalità formative diverse per soddisfare anche le esigenze dei lavoratori, quindi non semplicemente formazione in aula, videotutorial o partecipazione a webinar, che potrebbero rimanere esperienze a sé stanti, ma attraverso dei percorsi di mentoring o di coaching, coinvolgendo i colleghi più esperti perché condividano esperienze specifiche, ma anche attraverso esperti esterni che possano portare nuove prospettive e best practice. Anche nei contesti aziendali è importante fare in modo che le singole persone vengano coinvolte in progetti pratici, perché questo non fa che consolidare le conoscenze acquisite e consente ai lavoratori di sviluppare fiducia nell’utilizzo delle nuove competenze.”
Insieme alle nostre ospiti commentiamo anche quanto emerso dalle ricerche di Randstad Professionals, divisione di Randstad specializzata nella selezione di Middle e Senior Management: ovvero che le sette nuove professioni più richieste nel mondo virtuale sarebbero Network Engineering, uno/a specialista nella gestione delle reti aziendali e dei flussi di dati; Cybersecurity Specialist; Blockchain Specialist; Virtual Reality Designer, ovvero colui/colei che crea mondi digitali immersivi, simulando e modellando le esperienze dell’utente e le interazioni che oggetti e servizi possono avere nel mondo virtuale; Innovation Manager; Crypto Artist, cioè l’artista crittografico che, grazie alla tecnologia NFT, realizza opere digitali su una blockchain che vengono poi vendute nel Metaverso. Infine, l’Head Of Metaverse, esperto o esperta dell’ecosistema del web3.
In Italia esistono professioniste che ricoprono questi ruoli? In generale, quale è l’apporto delle donne alle nuove professioni citate nel corso dell’episodio? E come indirizzare politiche e programmi che ne favoriscano l’inclusione?
Per approfondire l’argomento non vi resta che ascoltare il talk tra Brunetti, Fiorentini, Nocivelli e Borgherese.
Sabrina Colandrea